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Alberto Moravia - Il conformista

EPILOGO / CAPITOLO PRIMO (cont.)
Nel corridoio, ella si voltò a metà verso il marito e disse: « Credo che sia pronto ». Marcello notò allora, per la prima volta, in quell’ombra accusatrice, che Giulia aveva gli occhi gonfi, come di pianto. La visita alla bambina l’aveva rinfrancato; ma vedendo gli occhi della moglie, gli tornò di nuovo la paura di non sapersi mostrare calmo e fermo come avrebbe voluto. Intanto Giulia l’aveva preceduto nella sala da pranzo, una stanza assai piccola, con una tavolina tonda e una credenza. La tavola era preparata, la lampada centrale accesa, dalla finestra aperta giungeva la voce della radio che descriveva, nello stile ansimante e trionfale usato di solito per le partite di pallone, la caduta del governo fascista. La cameriera entrò e, dopo aver servito la minestra, uscì di nuovo. Cominciarono a mangiare lentamente, con gesti compassati. La radio parve, ad un tratto, diventare frenetica. L’annunziatore raccontava adesso, in termini esaltati e con voce febbrile, che una gran folla si addensava per le strade della città applaudendo al re. « Che schifo », disse Giulia posando il cucchiaio e guardando alla finestra.
« Perché schifo ? »
« Fino a ieri battevano le mani a Mussolini... pochi giorni fa applaudivano al Papa perché speravano che li salvasse dai bombardamenti... oggi acclamano il re che ha buttato giù Mussolini ».
Marcello non disse nulla. Le opinioni e le reazioni di Giulia, nelle faccende pubbliche, gli erano note al punto da poterle anticipare mentalmente. Erano le opinioni e le reazioni di una persona assai semplice, priva affatto di curiosità per i motivi profondi che originavano gli avvenimenti, guidata più che altro da ragioni personali e affettive. Finirono di mangiare la minestra in silenzio mentre la radio continuava a vociare torrenzialmente. Poi, tutto ad un tratto, dopo che la cameriera aveva portato il secondo piatto, la radio si spense e ci fu silenzio e, con il silenzio, parve tornare il senso di afa soffocante dell’immobile notte estiva. Si guardarono e poi Giulia domandò: « E adesso che farai ? »
Marcello rispose brevemente: «Farò quello che faranno tutti coloro che si trovano nelle mie condizioni... siamo in parecchi in Italia ad averci creduto ».
Giulia esitò prima di parlare. Poi soggiunse, lentamente : « No, voglio dire che farai per la faccenda di Quadri ? »
Cosi ella sapeva, forse aveva sempre saputo, dopo tutto. Marcello si accorse che a quelle parole il cuore gli era venuto meno, come gli sarebbe venuto meno dieci anni prima se qualcuno gli avesse chiesto : « Ora che farai per la faccenda di Lino? ». Allora, la risposta, se avesse avuto il dono della profezia, avrebbe dovuto essere: «Uccidere Quadri». Ma adesso? Posò la forchetta accanto al piatto e, appena fu sicuro che la voce non gli avrebbe tremato, rispose : « Non capisco di che cosa parli ».
La vide abbassare gli occhi, facendo una smorfia come di pianto. Poi ella disse, con voce lenta e triste: «A Parigi, Lina, forse perché voleva staccarmi da te, mi disse che facevi parte della polizia politica ».
« E tu cosa le rispondesti ? »
« Che non m’importava... che ero tua moglie e che ti volevo bene qualsiasi cosa tu facessi... che se tu lo facevi, era segno che pensavi che fosse bene farlo ».
Marcello non disse nulla, commosso suo malgrado da questa fedeltà cosi ottusa e inflessibile. Giulia continuò, con voce esitante : « Ma quando poi Quadri e Lina furono ammazzati, mi venne tanta paura che anche tu ci entrassi... e da allora non ho fatto che pensarci... ma non te ne parlavo perché siccome non mi avevi mai detto nulla della tua professione, pensavo che a maggior ragione non potevo parlarti di questo ».
« E cosa pensi ora ? » domandò Marcello dopo un momento di silenzio.
« Io? » disse Giulia alzando gli occhi e guardandolo. Marcello vide che gli occhi erano lucidi e comprese che quel pianto era già una risposta. Tuttavia ella soggiunse con sforzo : « Tu stesso, a Parigi, mi dicesti che la visita a Quadri era molto importante per la tua carriera... cosi penso che possa esser vero ».
Egli disse subito: «È vero».
Capi nello stesso momento che Giulia aveva sperato fino all’ultimo di essere smentita. Alle sue parole, infatti, come ad un segnale, ella si gettò sulla tavola, il viso nel braccio, e prese a singhiozzare. Marcello si alzò, andò alla porta e diede un giro alla chiave. Poi le venne accanto e, senza chinarsi, posandole una mano sui capelli, disse: « Se vuoi, da domani ci separiamo... io ti accompagno a Tagliacozzo con la bambina e poi me ne vado e non mi faccio più vedere... vuoi che facciamo cosi? »
Giulia smise subito di singhiozzare come, egli pensò, se non avesse creduto alle proprie orecchie. Poi, dall’incavo del braccio dove ella nascondeva il viso, gli giunse la sua voce triste e sorpresa : « Ma che dici?... Separarsi?... Non è questo... io ho tanta paura per te... che ti faranno adesso? »
Cosi, pensò, Giulia non provava orrore di lui, né rimorso per la morte di Quadri e di Lina; bensì soltanto timore per lui, per la sua vita, per il suo avvenire. Questa insensibilità doppiata di tanto amore, gli fece un effetto strano, come chi, salendo al buio una scala, alzi il piede credendo di trovare uno scalino e, invece, incontri il vuoto di un pianerottolo. In realtà, aveva previsto e anche sperato l’orrore e un severo giudizio. E invece non trovava che il solito amore cieco e solidale. Disse, con qualche impazienza: «Non mi faranno nulla... non ci sono prove... e poi non ho fatto che eseguire gli ordini ». Esitò un momento, per una specie di pudore mischiato di ripugnanza per il luogo comune; quindi fini con sforzo: «Non ho fatto che il mio dovere, come un soldato ».
Giulia si attaccò subito a questa frase logora che, a suo tempo, non era bastata a tranquillizzare neppure l’agente Orlando. «Si, anch’io l’ho pensato», disse levando il capo, afferrandogli la mano e baciandola freneticamente, « mi sono sempre detta : Marcello in fondo non è che un soldato... anche i soldati ammazzano perché sono comandati... lui non ha colpa se gli fanno fare certe cose... ma non credi che ti verranno a prendere?... Sono sicura che quelli che ti davano gli ordini, scapperanno... e che tu invece che non c’entri e non hai fatto che il tuo dovere, ci andrai di mezzo... ». Ella voltò la mano dopo averla baciata sul dorso e prese a baciarla, sempre con la stessa furia, sulla palma.
« Calmati », disse Marcello carezzandola, « per adesso hanno altro da fare che cercare me».
« Ma la gente è cosi cattiva... basta uno che ti voglia male... ti denunzieranno... e poi è sempre cosi: i grossi, quelli che comandano e hanno fatto i milioni, si salvano; e i piccoli come te che hanno fatto il loro dovere e non hanno un soldo da parte, ci vanno di mezzo... ah Marcello, ho tanta paura».
«Non aver paura, tutto si aggiusterà».
« Ah lo so che non si aggiusterà, lo sento... e poi sono cosi stanca ». Giulia parlava adesso con il viso contro la mano di lui, ma senza baciarla. « Dopo avere avuto Lucilla, sebbene conoscessi la tua professione, pensavo: adesso mi sono sistemata, ho una bambina, un marito a cui voglio bene, ho una casa, una famiglia, sono felice, proprio felice... era la prima volta che ero felice in vita mia e non mi pareva vero... quasi non potevo crederci... e sempre avevo tanta paura che tutto finisse e che la felicità non durasse... e infatti, non è durata e adesso dobbiamo scappare... e tu perderai il posto e chissà che ti faranno... e quella povera creatura sarà peggio che se fosse orfana... e bisognerà ricominciare tutto da capo... e forse non sarà più neppure possibile ricominciare e la nostra famiglia sarà distrutta ». Scoppiò di nuovo in pianto e si ributtò con il viso dentro il braccio.
Marcello ricordò ad un tratto l'immagine che gli era balenata prima alla mente: la verga divina che colpiva spietatamente la sua famiglia intera, cosi lui che era colpevole come la moglie e la figlia che erano innocenti, e rabbrividì pensosamente. Qualcuno bussò alla porta ed egli gridò alla domestica che avevano finito di mangiare e non avevano più bisogno di lei. Poi, chinandosi verso Giulia, disse dolcemente : « Ti prego di non piangere più e di calmarti... la nostra famiglia non sarà distrutta... ce ne andremo in America, in Argentina, e ci rifaremo una nuova vita... anche li avremo una casa e ci sarò io e ci sarà Lucilla... abbi fiducia e vedrai che tutto andrà a posto».
Giulia levò questa volta il viso bagnato di lagrime verso di lui e disse, piena di improvvisa speranza: «Andremo in Argentina... ma quando?»
« Appena sarà possibile... appena la guerra sarà veramente finita».
« E intanto ? »
« Intanto andremo via da Roma e andremo a stare a Tagliacozzo... li nessuno ci cercherà... vedrai, andrà tutto bene».
Giulia parve rinfrancata da queste parole e, soprattutto, come pensò Marcello, vedendola levarsi in piedi soffiandosi il naso, dal tono fermo con il quale erano state pronunziate. « Scusami », ella disse, « sono una stupida... dovrei aiutarti e invece non so fare altro che piangere come una sciocca che sono ». Prese a sparecchiare, portando via i piatti dal tavolo e collocandoli sulla credenza. Marcello andò alla finestra e, chinandosi sul davanzale, guardò di fuori. Attraverso le vetrate opache della casa di fronte, piano dopo piano, fino al cielo, brillavano attutite le lampade della scala. Nei profondi cortili di cemento, l’ombra si addensava, nera come carbone. La notte era calma e calda, neppure a tendere l’orecchio si distingueva altro rumore che quello sfrigolante di una pompa dal giardino con la quale, giù nel cortile, qualcuno innaffiava al buio l’erba delle aiuole. Marcello disse, voltandosi : « Vogliamo andare a fare un giro nel centro? »
«Perché?» ella domandò, « a quale scopo?... Chissà che folla c’è? »
« Così vedrai », egli rispose quasi leggermente, « come cade una dittatura ».
« E poi ce Lucilla... non posso lasciarla sola... se vengono gli aeroplani? »
«Sta tranquilla, stanotte non verranno».
« Ma perché andare al centro », ella protestò ad un tratto, « non ti capisco davvero... vuoi apposta soffrire... che gusto c’è? »
« Tu resta », egli disse, « andrò solo ».
« No, allora vengo anch’io », ella disse subito, « se ti succede qualche cosa, voglio esserci anch’io... vuol dire che alla bambina ci penserà la domestica ».
« Ma non temere... stanotte gli aeroplani non verranno ».
« Vado a cambiarmi », ella disse uscendo.
Rimasto solo, Marcello si avvicinò di nuovo alla finestra. Qualcuno adesso scendeva la scala della casa di fronte, un uomo. Si vedeva la sua ombra profilarsi via via da un piano all’altro, dietro le vetrate opache. Scendeva con disinvoltura; doveva essere, a giudicare dalla snellezza dell’ombra, un giovane: forse, come pensò Marcello con invidia, fischiettava. Poi la radio ricominciò a vociare. Marcello udì la solita voce che concludeva, come alla fine di un discorso: «...la guerra continua». Era il messaggio del nuovo governo, già udito poco prima. Marcello trasse di tasca l’astuccio e accese una sigaretta.
 
Alberto Moravia
Il conformista