Alberto Moravia - Il conformista PARTE SECONDA |
CAPITOLO DECIMO Come Marcello si destò e rivolse gli occhi al soffitto, nella penombra incerta delle imposte malchiuse, ricordò subito che, a quell’ora, Quadri correva già per le strade di Francia, seguito a breve distanza da Orlando e dai suoi uomini; e comprese che il viaggio a Parigi era finito. Il viaggio era finito, si ripete, sebbene il viaggio fosse appena cominciato. Era finito perché si era compiuto, con la morte già scontata di Quadri, quel periodo della sua vita durante il quale egli aveva cercato con ogni mezzo di disfarsi del peso di solitudine e di anormalità che gli aveva lasciato la morte di Lino. Ci era riuscito, a prezzo di un delitto, o meglio di quello che sarebbe rimasto un delitto se egli non avesse saputo giustificarlo e dargli un senso. Per quanto lo riguardava personalmente era sicuro che tale giustificazione non sarebbe mancata : buon marito, buon padre, buon cittadino, grazie anche alla morte di Quadri che gli precludeva definitivamente ogni ritorno indietro, avrebbe visto la sua vita acquistare lentamente ma solidamente quell’assolutezza che sinora le era mancata. Cosi, la morte di Lino, che era stata la causa prima della sua oscura tragedia, sarebbe stata risolta e annullata da quella di Quadri, proprio come, un tempo, l’offerta espiatoria di una vittima umana innocente, risolveva e annullava l’empietà di un precedente misfatto. Ma non c’era soltanto lui; e la giustificazione della sua vita e dell’uccisione di Quadri non dipendeva soltanto da lui. « Adesso », pensò lucidamente, « bisogna che anche gli altri facciano il loro dovere... altrimenti resterò solo, con questo morto sulle braccia, e alla fine non avrò aggiunto che il nulla al nulla ». Gli altri, come sapeva, erano il governo che con quell’uccisione egli aveva inteso servire, la società che si esprimeva in quel governo, la nazione stessa che accettava di essere guidata da quella società. Non gli sarebbe bastato dire : « Ho fatto il mio dovere... ho agito in questo modo perché ero comandato». Questa giustificazione poteva bastare per l’agente Orlando, non per lui. Ci voleva, per lui, il successo completo di quel governo, di quella società, di quella nazione; e non soltanto un successo esteriore ma anche intimo e necessario. Soltanto in questo modo, quello che normalmente era considerato un comune delitto sarebbe, invece, diventato un passo positivo in una direzione necessaria. In altri termini, doveva operarsi, grazie a forze che non dipendevano da lui, una trasmutazione completa dei valori: l’ingiusto doveva diventare giusto; il tradimento, eroismo; la morte, vita. Senti il bisogno a questo punto di esprimere in parole grezze e sarcastiche la propria situazione e pensò con freddezza: « Insomma, se il fascismo fa fiasco, se tutte le canaglie, gli incompetenti, e gli imbecilli che stanno a Roma portano la nazione italiana alla rovina, allora io non sono che un misero assassino ». Ma subito dopo, corresse mentalmente : « Eppure, stando come stavano le cose, non potevo fare altrimenti ». Al suo fianco, Giulia che dormiva ancora, si mosse e con un gesto lento, possente e graduale si avvinghiò a lui prima con le due braccia poi con le gambe, ponendogli la testa sul petto. Marcello la lasciò fare e sporgendo un braccio, prese sul comodino la piccola sveglia fosforescente e guardò l’ora: erano le nove e un quarto. Non potè fare a meno di pensare che, se le cose erano andate come Orlando aveva lasciato supporre che dovessero andare, a quell’ora, in un punto qualsiasi di una strada francese, la macchina di Quadri giaceva abbandonata in un fosso con un cadavere al volante. Giulia domandò a bassa voce : « Che ore sono ? » « Le nove e un quarto ». « Uh come è tardi », ella disse senza muoversi, « abbiamo dormito almeno nove ore ». « Si vede che eravamo stanchi ». « Non andiamo più a Versailles? » « Certo... anzi dobbiamo vestirci », egli disse con un sospiro, « trappoco sarà qui la signora Quadri ». « Preferirei che non venisse, non mi lascia mai in pace con il suo amore ». Marcello non disse nulla. Dopo un momento, Giulia riprese : « E qual è il programma per i prossimi giorni ? » Prim'ancora che avesse potuto trattenersi, Marcello rispose: «Partire», con una voce che gli parve quasi lugubre a forza di malinconia. Questa volta Giulia si riscosse e tirando alquanto indietro la testa e il petto ma senza staccarsi da lui, domandò con voce stupita r già allarmata: «Partire? Cosi presto? Siamo appena arrivati e dobbiamo già partire? » « Non te l’ho detto ieri sera », egli menti, « per non guastarti la serata... ma ieri nel pomeriggio ho ricevuto un telegramma che mi richiama a Roma... ». «Peccato... veramente peccato », disse Giulia in tono bonario e già rassegnato, «proprio quando cominciavo a divertirmi a Parigi... e poi non abbiamo ancora visto nulla». « Ti dispiace? » egli domandò con dolcezza, carezzandole il capo. « No, ma avrei preferito restare qualche giorno almeno... se non altro per farmi un’idea di Parigi ». « Ci torneremo ». Segui il silenzio. Poi Giulia fece un vivo movimento con le braccia e con tutto il corpo contro di lui e disse: «Allora dimmi almeno quello che faremo in futuro... dimmi come sarà la nostra vita ». « Perché vuoi saperlo? » « Cosi », ella rispose stringendosi contro di lui, « perché mi piace tanto parlare del futuro... a letto... al buio». « Ebbene », incominciò Marcello con voce calma e incolore, «adesso torniamo a Roma e cerchiamo casa ». « Quanto grande? » « Quattro o cinque stanze e i servizi... trovata che l’abbiamo, compriamo tutto il necessario per arredarla ». « Io vorrei un appartamento al pianterreno », ella disse con voce sognante, « con un giardino... anche non grande... ma con degli alberi e dei fiori, da poterci stare nella bella stagione». « Nulla di più facile », confermò Marcello, « dunque mettiamo su casa... io penso che avrò abbastanza denaro per arredarla completamente... non con mobili di lusso si intende... ». « Tu ti farai un bello studio », ella disse. « Perché uno studio, dal momento che lavoro all’ufficio?... Meglio una grande stanza di soggiorno ». « Si una stanza da soggiorno... hai ragione... salotto e sala da pranzo insieme... e avremo anche una bella camera da letto, no? » « Certo ». « Ma niente sommier che sono cosi squallidi... voglio la camera da letto regolare... con il letto a due piazze, matrimoniale... e dimmi... avremo anche una bella cucina? » « Una bella cucina, perché no? » « Voglio avere il fornello doppio, col gas e con l'elettricità... e voglio avere anche un bel frigidaire... se non abbiamo soldi abbastanza, queste cose potremo comprarle a rate». « Si capisce... a rate ». «E dimmi ancora, che faremo in questa casa?» «Ci vivremo e saremo felici». « Ho tanto bisogno di essere felice », ella disse rannicchiandosi ancor più contro di lui, « tanto... se tu sapessi... mi sembra che ho bisogno di esser felice da quando sono nata». « Ebbene, saremo felici », disse Marcello con fermezza quasi aggressiva. » « E avremo dei figli ? » « Certo ». « Io ne voglio tanti », ella disse con una specie di cantilena nella voce, « ne voglio uno per ogni anno almeno per i primi quattro anni del nostro matrimonio... cosi avremo una famiglia e io voglio avere una famiglia il più presto possibile... mi sembra che non bisogna aspettare, altrimenti, poi, sarà troppo tardi... e quando si ha una famiglia, tutto il resto viene da sé, nevvero? » « Certo, tutto il resto viene da sé ». Ella tacque un momento e poi domandò : « Credi che io sia già incinta? » « Come faccio a saperlo ? » « Se lo fossi », ella disse con un riso, « vorrebbe dire che nostro figlio è nato in treno». « Ti farebbe piacere ? » « Si, sarebbe un buon augurio per lui... chissà, poi diventerebbe un gran viaggiatore... il primo figlio lo voglio maschio... il secondo preferirei che fosse una femmina... sono sicura che sarebbe molto bella... tu sei bello e io non sono proprio brutta... da noi due nasceranno certamente dei bambini molto belli ». Marcello non disse nulla e Giulia riprese: «Perché stai cosi zitto? Non ti piacerebbe avere dei figli da me? » « Certo », egli rispose; e tutto ad un tratto, con stupore, senti due lagrime sgorgargli dagli occhi e colargli sulle guance. E poi due altre, calde, brucianti, come già piante in un tempo anteriore e remoto e rimaste dentro gli occhi a impregnarsi di ardente dolore. Capi che ciò che lo faceva lagrimare era proprio quel discorso sulla felicità tenuto poco prima da Giulia, sebbene non gli riuscisse di penetrarne la ragione. Forse perché questa felicità era stata pagata in anticipo a cosi caro prezzo; forse perché si rendeva conto che non avrebbe mai potuto essere felice, almeno nel modo semplice e affettuoso descritto da Giulia. Con sforzo, finalmente, ricacciò indietro la voglia di pianto e, senza che Giulia se ne accorgesse, si asciugò gli occhi con il rovescio della mano. Intanto Giulia l’abbracciava sempre più stretto, aderendo vogliosamente con il proprio corpo al suo, cercando di guidargli le mani distratte e inerti a carezzarla e a stringerla. Poi la senti tendere il viso verso il suo e incominciare a baciarlo fittamente sulle guance, sulla bocca, sulla fronte, sul mento, con una avidità frenetica e infantile. Ella sussurrò, finalmente, quasi lamentandosi : « Perché non vieni contro di me... prendimi », e nella sua voce implorante gli parve di avvertire quasi un rimprovero per aver pensato piuttosto alla propria che alla felicità di lei. Allora, mentre l’abbracciava e, dolcemente e agevolmente, penetrava in lei; ed ella, sotto di lui, la testa sul guanciale e gli occhi chiusi, cominciava ad alzare e abbassare i fianchi in un movimento regolare, placato e oscuramente riflessivo, simile a quello di un’onda marina che si gonfi e si distenda secondo il flusso e il riflusso, un colpo forte risuonò alla porta: « Espresso ». « Che sarà ? » ella mormorò ansante, socchiudendo gli occhi, « non ti muovere... che t’importa? » Marcello si voltò e intravvide, laggiù sul pavimento, nel chiarore presso la porta, una lettera che era stata introdotta da sotto la fessura. Nello stesso momento, Giulia ricadde supina e si irrigidì sotto di lui, rovesciando indietro la testa sospirando profondamente e ficcandogli le unghie nelle braccia. Ella girò il capo sul guanciale prima da una parte e poi dall’altra, e mormorò: «Uccidimi». Senza ragione, Marcello ricordò improvvisamente il grido di Lino : « ammazzami come un cane » e sentì un’orribile inquietudine invadergli l’animo. Un lungo momento aspettò che le mani di Giulia ricadessero sul letto; quindi accese la lampada, mise i piedi in terra, andò a prendere la lettera e tornò a stendersi al fianco della moglie. Giulia gli voltava adesso le spalle, rannicchiata su se stessa, gli occhi chiusi. Marcello guardò la lettera prima di posargliela sul bordo del letto, presso la bocca ancora aperta e ansante. La busta portava la scritta: «Madame Giulia Clerici», di mano chiaramente femminile. « Una lettera della signora Quadri», disse. Giulia mormorò, senza aprire gli occhi : « Dammela ». Segui un lungo silenzio. La lettera posata all’altezza della bocca di Giulia era illuminata in pieno dalla lampada; Giulia accasciata e immobile, sembrava dormire. Quindi ella sospirò, apri gli occhi, e tenendo con una mano sola un angolo della lettera, lacerò coi denti la busta, trasse fuori il foglio e lesse. Marcello la vide sorridere; poi ella mormorò: « Dicono che in amor vince chi fugge... siccome ieri sera l’ho trattata male, mi informa che ha cambiato idea e che è partita stamani con il marito... spera che la raggiunga... buon viaggio». « È partita ? » ripetè Marcello. « Si, è partita stamani alle sette insieme con il marito, per la Savoia... e sai perché è partita?... Ti ricordi ieri sera quando ballai con lei la seconda volta? Fui io a chiederle di ballare e lei era contenta perché sperava che finalmente le dessi retta... ebbene io, invece, le dissi con la massima franchezza che doveva assolutamente rinunziare a me... e che se continuava, avrei cessato di vederla del tutto, e che volevo bene soltanto a te e che mi lasciasse in pace e si vergognasse... insomma, gliene dissi tante e tante che quasi piangeva... allora oggi è partita... hai capito il calcolo... parto affinché tu mi raggiunga... aspetterà un pezzo ». « Si, aspetterà un pezzo », ripetè Marcello. « Del resto mi fa piacere che sia partita », riprese Giulia, « era cosi insistente e noiosa... quanto a raggiungerla, non ne parliamo neppure... non voglio più vederla quella donna ». « Non la vedrai mai più », disse Marcello. |
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