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Alberto Moravia - Il conformista

PARTE SECONDA
CAPITOLO OTTAVO (cont.)

Di nuovo Marcello senti il piede di Lina premere il suo. Con sforzo, domandò : « Su, Giulia, perché non accetteremmo? »
« Se tu proprio lo desideri », ella rispose chinando il capo.
Vide, a queste parole, Lina voltarsi verso Giulia con un viso inquieto, triste, irritato, sorpreso. « Ma perché », ella gridò con una specie di costernazione riflessiva nella voce, « perché... per vedere quell'orribile Costa azzurra?... Ma è un desiderio proprio da provinciali... soltanto i provinciali vogliono visitare la Costa azzurra... le assicuro che nessuno esiterebbe al suo posto... via, via », soggiunse ad un tratto con una vivacità disperata, « ci deve essere qualche motivo che lei non dice... forse mio marito ed io le siamo antipatici».
Marcello non potè fare a meno di ammirare questa violenza passionale che permetteva a Lina di fare quasi una scena d’amore a Giulia in presenza sua e di Quadri. Un po’ sorpresa, Giulia protestò : « Ma per carità... cosa dice? »
Quadri che mangiava in silenzio, assaporando, come sembrava, il cibo, molto più che ascoltando la conversazione, osservò con la solita indifferenza: « Lina, tu metti in imbarazzo la signora... anche se è vero che le siamo antipatici, come tu dici, non ce lo dirà mai ».
« Si, le siamo antipatici », continuò la donna senza curarsi del marito, « o meglio, forse sono proprio io che le sono antipatica... non è vero, cara?... Io le sono antipatica... si crede », soggiunse rivolgendosi a Marcello, sempre con quella sua disperata vivacità mondana e allusiva, « di essere simpatici e, invece talvolta, proprio le persone a cui si vorrebbe essere simpatici non ci possono soffrire... dica la verità, cara, lei non può soffrirmi... e mentre le parlo e insisto stupidamente per averla con noi in Savoia, lei pensa: “ ma cosa vuole da me questa pazza?... Come fa a non accorgersi che non posso sopportare la sua faccia, la sua voce, le sue maniere, la sua persona intera, insomma ?... ” dica la verità, lei in questo momento pensa proprio delle cose di questo genere ».
Ormai, come pensò Marcello, ella aveva abbandonato qualsiasi prudenza; e se il marito poteva forse non attribuire alcuna importanza a queste accorate insinuazioni, lui, per il quale, secondo la finzione, tutte quelle insistenze erano prodigate, difficilmente avrebbe potuto non accorgersi a chi si rivolgevano in realtà. Giulia protestò, mollemente stupefatta : « Ma guarda che cosa va a pensare... vorrei proprio sapere perché pensa queste cose».
« Cosi è vero », esclamò la donna addolorata, « io le sono antipatica ». E poi rivolta al marito, con febbrile e amaro compiacimento: «Vedi, Edmondo, tu dicevi che la signora non l’avrebbe detto... invece lo ha detto: io le sono antipatica».
« Non ho detto questo », disse Giulia sorridendo, « non me lo sono neanche sognato... »
«Non l’ha detto ma l’ha lasciato capire».
Quadri disse, senza alzare gli occhi dal piatto: « Lina, non capisco questa tua insistenza... perché dovresti essere antipatica alla signora Clerici? Ti conosce da qualche ora, probabilmente non proverà alcun sentimento particolare ».
Marcello capi che doveva di nuovo intervenire, gli occhi di Lina glielo imponevano, adirati, quasi insultanti di disprezzo e di imperio. Ella non gli premeva più il piede adesso, ma, con una imprudenza allucinata, un momento che lui teneva la mano sulla tavola, finse di prendere il sale e gli diede una stretta alle dita. Egli disse in tono conciliante e definitivo: « Giulia ed io abbiamo invece molta simpatia per lei... ed accettiamo con piacere l’invito... verremo senz’altro... non è vero Giulia? »
« Si capisce », disse Giulia improvvisamente arresa, «era soprattutto per via di quell’impegno... ma noi volevamo accettare ».
« Benissimo... allora è inteso... partiamo tra una settimana tutti insieme ». Lina, raggiante, prese subito a parlare delle passeggiate che avrebbero fatto in Savoia, della bellezza di quei luoghi, della casa in cui avrebbero abitato. Marcello notò, tuttavia, che parlava confusamente, ubbidendo, si sarebbe detto, piuttosto ad un impulso di canto, come un uccello che un raggio di sole rallegri improvvisamente dentro la gabbia, che alla necessità di dire certe cose o fornire certe informazioni. E come l’uccello acquista brio dal suo stesso canto, ella pareva inebriarsi al suono della propria voce in cui tremava e si esaltava una gioia imprudente e indomita. Sentendosi escluso dalla conversazione tra le due donne, Marcello levò gli occhi, quasi macchinalmente, verso lo specchio appeso dietro le spalle di Quadri: l’onesta, bonaria testa di Orlando era sempre là, sospesa nel vuoto, decapitata eppure viva. Ma non era più sola: di profilo, non meno nitida e non meno assurda, adesso si vedeva un’altra testa che parlava a quella di Orlando. Era la testa di un rapace, senza nulla di aquilino però, di specie triste e inferiore: occhi profondamente infossati, piccoli, spenti, sotto una fronte bassa; grande naso malinconico e ricurvo; guance incavate, piene di ombra ascetica; bocca piccola; mento rattrappito. Marcello indugiò a osservare questo personaggio, domandandosi se l’avesse già visto; poi trasalì alla voce di Quadri che gli chiedeva : « A proposito Clerici... se io le chiedessi un favore... lei me lo farebbe? »
Era una domanda inaspettata; e Marcello notò che Quadri aveva atteso, per muoverla, che la moglie si fosse finalmente taciuta. Disse : « Certo, se è nelle mie possibilità».
Gli parve che Quadri prima di parlare guardasse alla moglie come per riceverne la conferma di un accordo già discusso e stabilito. « Si tratta di questo », disse poi Quadri in tono insieme dolce e cinico, «certo lei non ignora quale sia la mia attività qui a Parigi e perché io non sia più tornato in Italia... ora noi abbiamo degli amici in Italia coi quali corrispondiamo nei modi che possiamo... uno di tali modi consiste nell’affidare lettere a persone apolitiche e comunque non sospettabili di svolgere un’attività politica... ho pensato che lei potrebbe portarmi una di queste lettere in Italia... e impostarla alla prima stazione in cui le accadrà di passare... per esempio, Torino».
Segui il silenzio. Marcello adesso si rendeva conto che la richiesta di Quadri non aveva altro scopo che quello di metterlo alla prova; o per lo meno in imbarazzo; e capiva pure che tale richiesta era fatta d’accordo con Lina. Probabilmente Quadri, fedele ai suoi sistemi di persuasione, aveva convinto la moglie dell’opportunità di una simile manovra; ma non tanto da modificare l’ostilità di lei verso Marcello. Gli parve di indovinarlo dal viso teso, freddo e quasi irritato di lei. Quali fini, poi, si proponesse Quadri, per il momento non gli riusciva di penetrare. Rispose, per guadagnare tempo : « Ma se mi scoprono, finisco in galera».
Quadri sorrise e disse scherzosamente: «Non sarebbe un gran male... anzi, per noi sarebbe quasi un bene... non sa che i movimenti politici hanno bisogno di martiri e di vittime? »
Lina aggrottò le sopracciglia ma non disse nulla. Giulia guardò Marcello con ansietà: era chiaro che desiderava che il marito rifiutasse. Marcello riprese lentamente: « In fondo, lei desidera quasi che la lettera venga scoperta ».
« Questo no », disse il professore versandosi del vino con una giocosa disinvoltura che, non sapeva neppur lui perché, ispirò ad un tratto a Marcello quasi della compassione. « Noi desideriamo soprattutto che il maggior numero possibile di persone si comprometta e lotti con noi... andare in prigione per la nostra causa non è che una delle tante maniere di compromettersi e lottare... non certo la sola ». Bevve lentamente; poi soggiunse con serietà, in maniera inaspettata: «Ma glielo ho proposto pro forma... per cosi dire... io so che lei rifiuterà».
« Ha indovinato », disse Marcello che intanto aveva soppesato il pro e il contro della proposta, « mi rincresce ma mi pare di non potere farle questo favore ».
« Mio marito non si occupa di politica », spiegò Giulia con una sollecitudine spaventata, « è un funzionario dello Stato... è fuori di queste cose».
« Si capisce », disse Quadri con aria indulgente e quasi affettuosa, « si capisce: è un funzionario dello Stato ».
Parve a Marcello che Quadri fosse stranamente soddisfatto della sua risposta. La moglie, invece, sembrava indispettita. Ella domandò a Giulia, in tono aggressivo : « Perché ha cosi paura che suo marito si occupi di politica? »
«Tanto a cosa serve? » rispose Giulia con naturalezza, « lui deve pensare al suo avvenire, non alla politica ».
« Ecco come ragionano le donne in Italia », disse Lina volgendosi al marito, « e poi ti sorprendi che le cose vanno come vanno».
Giulia si indispettì: «Veramente, qui l’Italia non c’entra... in certe condizioni le donne di qualsiasi paese ragionerebbero nello stesso modo... se lei vivesse in Italia, la penserebbe come me».
« Via, non si arrabbi », disse Lina con un riso fosco, triste e affettuoso, passando, in rapida carezza, una mano intorno al viso imbronciato di Giulia, « ho scherzato... può darsi che lei abbia ragione... comunque è così carina quando difende suo marito e si arrabbia per lui... non è vero, Edmondo, che è tanto carina? » Quadri fece un cenno di assenso distratto e un po’ infastidito, come per dire « discorsi di donne » ; e poi riprese seriamente : « Lei ha ragione signora... non si dovrebbe mai mettere l’uomo in condizione di scegliere tra la verità e il pane».
L’argomento, come pensò Marcello, era esaurito. Gli restava tuttavia la curiosità di conoscere il vero motivo della proposta. Il cameriere cambiò i piatti e mise sulla tavòla una fruttiera colma. Il cantiniere si avvicinò e domandò se potesse stappare la bottiglia dello champagne. « Sì », disse Quadri, « stappatela pure».
Il cantiniere trasse la bottiglia dal secchio, ne avvolse il collo in un tovagliolo, spinse in su il tappo e poi, prontamente, versò il vino spumoso nei bicchieri a calice. Quadri si alzò, il bicchiere in mano: « Beviamo alla salute della causa », disse; e quindi, volgendosi a Marcello, « non ha voluto portare la lettera, ma almeno vorrà fare un brindisi, non è vero? ». Sembrava commosso, con gli occhi lucidi di lagrime; e tuttavia, come notò Marcello, cosi nel gesto del brindisi come nell’espressione del viso c’erano una certa furbizia e quasi del calcolo. Egli guardò la moglie e Lina prima di rispondere al brindisi. Giulia, che si era già alzata in piedi, gli fece cenno con gli occhi come per dire : « Il brindisi puoi farlo»; Lina, il calice in mano, gli occhi rivolti in basso, aveva un’aria indispettita, fredda, quasi annoiata. Marcello si alzò, disse : « Alla salute, dunque, della causa», e andò ad urtare il proprio bicchiere contro quello di Quadri. Per uno scrupolo quasi puerile, volle tuttavia aggiungere mentalmente : « della mia causa », sebbene gli paresse ormai di non avere più alcuna causa da difendere ma soltanto un doloroso, incomprensibile dovere da assolvere. Notò con dispiacere che Lina evitava di battere il proprio bicchiere contro il suo. Giulia, invece, esagerando la cordialità, cercava il bicchiere di ciascuno chiamando pateticamente i nomi : « Lina, signor Quadri, Marcello». Il tintinnio dei cristalli, acuto eppure flebile,  fece rabbrividire di nuovo, come già i rintocchi della pendola. Guardò in su, allo specchio e vide la testa di Orlando, sospesa a mezzaria, che lo fissava con occhi lucidi e inespressivi, veri occhi di decapitato. Quadri tese il bicchiere al cantiniere che glielo riempi di nuovo; quindi, mettendo una certa sua enfasi sentimentale nel gesto, si voltò verso Marcello, il bicchiere alzato, e disse : « E ora alla sua salute personale, Clerici... e grazie». Sottolineò la parola « grazie » con tono allusivo, vuotò di un fiato calice e sedette.
Per qualche minuto bevvero in silenzio. Giulia aveva vuotato due volte il proprio calice e guardava adesso al marito, con espressione intenerita, riconoscente ed ebbra. Improvvisamente esclamò: « Quanto è buono lo champagne... di’, Marcello, non ti pare buono
lo champagne ? »
« Si, è un vino molto buono », egli ammise.
« Non lo apprezzi abbastanza », disse Giulia, « è proprio delizioso... e io sono già ubriaca ». Rise scuotendo la testa e poi soggiunse ad un tratto, levando il calice: «Su, Marcello, beviamo al nostro amore».
Ebbra, ridente, gli tendeva il bicchiere. Il professore guardava lontano; Lina, fredda e disgustata in volto, non nascondeva la propria riprovazione. Subitamente Giulia cambiò idea. «No», gridò, «tu sei troppo austero, è vero... ti vergogni di brindare al nostro amore... allora brinderò io, da sola, alla vita che mi piace tanto e che è tanto bella... alla vita». Bevve con impeto gioioso e maldestro cosi che parte del vino si sparse sul tavolo; poi gridò: «porta fortuna » e, bagnate le dita nel vino, fece per toccare le tempie a Marcello. Egli non potè fare a meno di accennare un gesto come per schermirsi. Allora Giulia si alzò, esclamando: «Ti vergogni... ebbene, io non mi vergogno » ; e, fatto il giro della tavola, andò ad abbracciare Marcello, quasi cascandogli addosso e baciandolo forte sulla bocca. « Siamo in viaggio di nozze », disse in tono di sfida, tornando al suo posto, tutta affannata e ridente; « siamo in viaggio di nozze e non per fare della politica e prendere lettere da portare in Italia ».
Quadri, a cui parevano rivolte queste parole, disse tranquillamente: «Lei ha ragione, signora». Marcello, tra la consapevole allusione di Quadri e quella inconsapevole e innocente della moglie, preferì tacere, abbassando gli occhi. Lina aspettò che fosse passato un momento di silenzio e poi domandò, come per caso : « Domani, cosa fate ? »
« Andiamo a Versailles », rispose Marcello togliendosi col fazzoletto, dalla bocca, il rossetto di Giulia.
« Ci vengo anch’io», disse Lina sollecitamente, « possiamo partire la mattina e fare colazione lì... aiuterò mio marito a far le valigie e poi verrò a prendervi ».
« Benissimo », disse Marcello. Lina soggiunse con scrupolo: «Vorrei condurvi in automobile... ma mio marito se la porta via: ci toccherà andare in treno... è più allegro ». Quadri non pareva avere udito : adesso pagava il conto, estraendo, con gesto proprio di gobbo, i biglietti da banca piegati in quattro dalla tasca dei pantaloni a strisce. Marcello fece per tendergli del denaro ma Quadri lo respinse dicendo: « A buon rendere... in Italia ». Giulia disse ad un tratto con voce ebbra e molto alta : « In Savoia stiamo pure insieme... ma a Versailles voglio andarci sola con mio marito ».
« Grazie », disse Lina ironicamente alzandosi dalla tavola, «almeno questo si chiama parlare chiaro».
« Non si offenda », incominciò Marcello impacciato, « è lo champagne... ».
« No, è l’amore che ho per te, stupido », gridò Giulia. Ridendo, si avviò con il professore verso la porta. Marcello la udì soggiungere : « Le pare ingiusto che durante il mio viaggio di nozze desideri di star sola con mio marito? »
« No, cara », rispose Quadri con dolcezza « è giustissimo ». Lina, intanto, commentava in tono agro: « Non ci avevo pensato, sciocca che sono... la gita a Versailles è rituale per gli sposini ». Alla porta, Marcello volle che Quadri passasse prima di lui. Mentre usciva, udì di nuovo il pendolo battere i colpi: erano le dieci.
 
Alberto Moravia
Il conformista