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Alberto Moravia - Il conformista

PARTE SECONDA
CAPITOLO SETTIMO

Andò al banco del portiere e domandò la chiave della stanza. «È su», disse il portiere dopo aver guardato al casellario, « l’ha presa vostra moglie... è salita di sopra con una signora ».
« Una signora? »
« Si ».
Oltremodo turbato, e, al tempo stesso, immensamente felice, dopo l’incontro con il vecchio, di turbarsi a quel modo alla sola notizia che Lina si trovava in camera con Giulia, Marcello si avviò verso l’ascensore. Entrandovi, guardò l’orologio che teneva al polso e vide che non erano che le sei. Aveva tutto il tempo per portar via Lina con un pretesto, appartarsi con lei in un salotto dell’albergo, decidere per l’avvenire. Subito dopo si sarebbe definitivamente disfatto dell’agente Orlando che doveva telefonare alle sette. Queste coincidenze gli sembrarono fauste. Mentre l’ascensore saliva, guardò alla gardenia che stringeva tuttora tra le dita e fu improvvisamente sicuro che il vecchio gliel’avesse data non per Giulia, ma per la sua vera moglie, Lina. Toccava adesso a lui consegnarla quale pegno del loro amore.
Percorse in fretta il corridoio, andò alla sua camera ed entrò senza bussare. Era una grande camera da letto matrimoniale con un piccolo vestibolo in cui dava anche il bagno. Marcello accostò senza rumore la porta e indugiò un momento al buio nel vestibolo. Si accorse allora che l’uscio della camera era socchiuso e che una luce ne trapelava; e gli venne desiderio di spiare, non visto, Lina, quasi parendogli che in tal modo avrebbe potuto sincerarsi se ella l’amava veramente. Mise l’occhio alla fessura e guardò.
Un lume brillava sul comodino; il resto della camera era avvolto nell’ombra. Seduta presso il capezzale, il dorso contro i cuscini, egli vide Giulia tutta avvolta in un panno bianco: l’asciugamani spugnoso del bagno. Ella tratteneva con le due mani al petto l’asciugamani, ma non pareva potere o volere impedire che si aprisse largamente in basso, scoprendole il ventre e le gambe. Accovacciata a terra, ai piedi di Giulia, nel giro dell’ampia gonna bianca, in atto di circondarle con ambedue le braccia le gambe, la fronte contro le ginocchia e il petto contro gli stinchi, Marcello vide Lina. Senza riprovazione, anzi, si sarebbe detto, con una specie di divertita e indulgente curiosità, Giulia tendeva il collo ad osservare la donna, che, per la sua posizione un po’ rovesciata indietro, non poteva vedere che imperfettamente. Lina disse alfine, senza muoversi, con voce bassa: « Non ti dispiace che io stia un poco cosi ».
« No, ma tra poco dovrò vestirmi ».
Lina riprese, dopo un momento di silenzio, come tornando ad un discorso precedente : « Che stupida, però... che ti farebbe?... Se tu stessa hai detto che se non fossi sposata, non avresti nulla in contrario ».
« Forse l’ho detto », rispose Giulia quasi con civetteria, « per non offenderti... e poi sono sposata ».
Marcello che guardava, vide che, adesso, pur parlando, Lina aveva tolto un braccio da intorno le gambe di Giulia e, con la mano, lentamente, tenacemente, risaliva lungo la coscia, respingendo al passaggio l’orlo dell’asciugamani. « Sposata », disse con intenso sarcasmo, senza interrompere quel suo lento approccio, «ma bisogna vedere con chi».
« Piace a me », disse Giulia. La mano di Lina, adesso, si affacciava dal fianco sull’inguine ignudo di Giulia, esitante e insinuante come la testa di un serpente. Ma Giulia la prese per il polso e la ricondusse con fermezza in basso, soggiungendo, in tono indulgente, un po’ come una governante che rimbrotti un bambino irrequieto : « Non credere che non ti veda ».
Lina prese la mano di Giulia e incominciò a baciarla piano, riflessivamente, strofinando ogni tanto con forza il viso intero dentro la palma, come un cane. Poi proferì: « Piccola sciocca », quasi in un soffio, con intensa tenerezza.
Segui un lungo silenzio. La passione concentrata che emanava da ogni gesto di Lina contrastava in maniera singolare con la distrazione e l’indifferenza di Giulia. La quale, adesso, non pareva neppur più curiosa; e pur abbandonando la mano ai baci e agli strofinamenti di Lina, si guardava intorno, come chi cerchi un pretesto. Finalmente, ritirò la mano e fece per alzarsi, dicendo : « Ora però debbo vestirmi davvero ».
Lina fu lesta a balzare in piedi esclamando: « Non muoverti... dimmi soltanto dove è la roba... ti vestirò io».
Ritta, le spalle alla porta, ella nascondeva compietamente Giulia. Marcello udì la voce della moglie dire con un riso: «Vuoi anche farmi da cameriera...».
«Che t’importa?... A te non fa nulla... a me fa tanto piacere».
« No, mi vesto da me ». Fuori della figura vestita di Lina, come per sdoppiamento, usci Giulia completamente nuda, passò in punta di piedi davanti agli occhi di Marcello, scomparve in fondo alla stanza. Poi giunse la sua voce che diceva: «Ti prego di non guardarmi... anzi voltati... mi fai vergogna».
«Vergogna di me?... Sono anch’io una donna».
« Sei una donna per modo di dire... mi guardi come guardano gli uomini ».
« Allora di’ addirittura che vuoi che me ne vada ».
«No, rimani pure ma non guardarmi».
« Ma io non ti guardo... sciocca: che vuoi che mi importi di guardarti?»
« Non arrabbiarti... comprendimi : se prima non mi avessi parlato in quel modo, io non mi vergognerei adesso e potresti guardarmi quanto vuoi». Questo con voce soffocata, come dal di dentro di un vestito infilato per la testa.
« Non vuoi che ti aiuti ? »
« Oh Dio, se proprio lo desideri tanto... ».
Con decisione benché malsicura nei movimenti, esitante seppure aggressiva, infervorata ma umiliata, Lina si mosse, si profilò un momento davanti a Marcello, scomparve dirigendosi verso la parte della stanza da cui giungeva la voce di Giulia. Ci fu un momento di silenzio e poi Giulia esclamò, spazientita ma non ostile: «Auffa, come sei noiosa». Lina non disse nulla. Adesso la luce della lampada cadeva sul letto vuoto, illuminando l’incavo lasciato dai fianchi di Giulia nell’asciugamani umido. Marcello si ritirò dalla fessura e tornò nel corridoio.
Si accorse, come si fu allontanato di qualche passo dalla porta, che la sorpresa e il turbamento gli avevano fatto compiere senza accorgersene un gesto significativo: tra le dita aveva gualcito meccanicamente la gardenia donatagli dal vecchio e da lui destinata a Lina. Lasciò cadere il fiore sul tappeto e si diresse verso la scala.
Discese al pianterreno e usci sul lungosenna, nella luce falsa e caliginosa del crepuscolo. I lumi si erano già accesi, quelli bianchi, a grappoli dei ponti lontani, quelli gialli appaiati delle macchine, quelli rossi rettangolari delle finestre, e la notte saliva come un fumo tetro, al cielo verde e sereno, da dietro il nero profilo delle guglie e dei tetti della sponda opposta. Marcello andò al parapetto e vi appoggiò i gomiti guardando in basso alla Senna rabbuiata che, adesso, pareva travolgere nei suoi flutti oscuri strisce di gemme e cerchi di brillanti. Ciò che provava era già più simile alla quiete mortale che segue il disastro che al tumulto del disastro medesimo. Capiva di aver creduto per qualche ora, durante quel pomeriggio, all’amore; e si rendeva conto di aggirarsi, invece, in un mondo profondamente sconvolto e inaridito, in cui vero amore non si dava, ma soltanto rapporto dei sensi, dal più naturale e comune al più abnorme e insolito. Non era stato amore, certo, quello di Lina per lui; non era amore quello di Lina per Giulia; d’amore non si poteva parlare nei suoi rapporti con la moglie; e forse anche Giulia, cosi indulgente, quasi tentata dalle profferte di Lina, non amava lui di vero amore. In questo mondo balenante e oscuro, simile ad un crepuscolo tempestoso, queste figure ambigue di uomini donne e di donne uomini che si incrociavano raddoppiando e mescolando la loro ambiguità, sembravano alludere ad un significato anch’esso ambiguo, legato, tuttavia, come gli pareva, al suo destino e alla comprovata impossibilità di uscirne. Poiché non c’era amore, soltanto per questo, egli avrebbe continuato ad essere quello che era stato sinora, avrebbe portato a termine la missione, avrebbe persistito nell’intento di crearsi una famiglia insieme con l’animalesca e imprevedibile Giulia. Questa era la normalità : questo ripiego, questa forma vuota. Al di fuori di essa, tutto era confusione e arbitrio.
Si sentiva spinto ad agire in questo modo anche dalla chiarezza che ormai illuminava la condotta di Lina. Ella lo disprezzava e, probabilmente, anche lo odiava, come aveva già dichiarato quando era stata ancora sincera; ma per non troncare i rapporti e cosi precludersi la possibilità di vedere Giulia di cui era invaghita, aveva saputo fingere con lui il sentimento d’amore. Marcello capiva adesso che da lei, ormai, non poteva aspettarsi neppure comprensione o pietà; e provava di fronte a questa ostilità irrimediabile, definitiva, corazzata di anormalità sessuale, di avversione politica e di disprezzo morale, un senso di dolore acuto e impotente. Cosi, quella luce degli occhi e della fronte, cosi pura e cosi intelligente, che l’aveva affascinato, non si sarebbe mai chinata su di lui, per affettuosamente illuminarlo e calmarlo. Lina avrebbe sempre preferito abbassarla e umiliarla in lusinghe, suppliche, amplessi infernali. Ricordò a questo punto che, vedendola premere il viso contro le ginocchia di Giulia, era stato colpito dallo stesso senso di profanazione che aveva provato, nella casa di S., scorgendo la prostituta Luisa lasciarsi abbracciare da Orlando. Giulia non era Orlando, come pensò; ma egli aveva desiderato che quella fronte non si abbassasse davanti a nessuno; ed era stato deluso.
Tra queste riflessioni si era fatta notte. Marcello si raddrizzò e si voltò verso l’albergo. Fece appena in tempo a scorgere la figura bianca di Lina che ne usciva e andava in fretta verso un’automobile, ferma a poca distanza, presso il marciapiede. Lo colpi l’aria contenta e insieme quasi furtiva di lei, come di faina o donnola che scappi fuori da un pollaio portandosi via la preda. Non era l’atteggiamento di chi è stato respinto, come pensò, al contrario. Forse Lina era riuscita a strappare qualche promessa a Giulia; o, forse, Giulia, per stanchezza o sensuale passività, si era lasciata andare a qualche carezza, senza valore per lei, cosi indulgente verso se stessa e verso gli altri, ma preziosa per Lina. Intanto la donna aveva aperto lo sportello della macchina, era salita sedendosi di traverso e poi tirando dentro le gambe. Marcello la vide passare, il bel viso altero e fine, dritto, in profilo, le mani sul volante. La macchina si allontanò ed egli rientrò nell’albergo.
Sali alla camera, entrò senza bussare. La camera era in ordine, Giulia sedeva, tutta vestita, davanti la toletta, finendo di pettinarsi. Domandò tranquillamente, senza voltarsi : « Sei tu ? »
« Si sono io», rispose Marcello sedendo sul letto.
Aspettò un momento e poi domandò : « Ti sei divertita? »
Subito, con vivacità, la moglie si voltò a metà dalla toletta e rispose: «Tanto... abbiamo visto tante belle cose, ho lasciato il mio cuore almeno in una decina di negozi ».
Marcello non disse nulla. Giulia fini di pettinarsi in silenzio poi si alzò e venne a sedersi anche lei sul letto. Indossava un vestito nero, con una larga, florida scollatura dalla quale, come due belle frutta da un cesto, spuntavano le due rotondità solide e brune del petto. Una rosa scarlatta di stoffa era appuntata presso la spalla. Il viso dolce e giovane, dai grandi occhi sorridenti, dalla bocca rigogliosa, aveva la consueta espressione di sensuale letizia. In un sorriso forse inconsapevole, Giulia scopriva, tra le labbra tinte di rossetto vivace, i denti regolari, di una bianchezza brillante e limpida. Gli prese la mano, affettuosamente, e disse: «Figurati che cosa mi è successo ».
« Che cosa? »
«Quella signora, la moglie del professor Quadri... ebbene, pensa... non è una donna normale».
« E cioè? »
« È una di quelle donne che amano le donne... e, insomma, figurati, si è innamorata di me... cosi... alla prima occhiata... me lo ha detto dopo che te ne sei andato... per questo aveva tanto insistito affinché restassi a riposarmi in casa sua... mi ha fatto una dichiarazione d’amore in regola... chi avrebbe potuto pensarlo? »
« E tu ? »
« Io non me l’aspettavo proprio... stavo per assopirmi perché ero stanca davvero... li per li quasi non capivo... finalmente capii, e allora non sapevo che faccia fare... sai, una vera passione, furiosa, proprio come un uomo... di’ la verità, te lo saresti aspettato tu, da una donna come quella, cosi controllata, cosi padrona di sé ? »
« No, rispose Marcello dolcemente, « non me lo sarei aspettato... come, del resto», soggiunse, « non mi aspetterei che tu contraccambiassi queste effusioni ».
« Ma che, per caso saresti geloso ? » ella esclamò scoppiando in una risata lusingata e gioiosa, « geloso di una donna? Anche, mettiamo, le avessi dato retta, non dovresti esser geloso... una donna non è un uomo... ma rassicurati... tra di noi non c’è stato quasi nulla».
« Quasi ? »
« Dico quasi », ella rispose in tono reticente, « perché, vedendola cosi disperata, mentre mi accompagnava in macchina all’albergo, le ho permesso di stringermi una mano ».
« Soltanto stringerti una mano ? »
« Ma sei geloso », ella esclamò di nuovo assai contenta, « sei proprio geloso... non ti conoscevo sotto quest’aspetto... ebbene, si, se proprio vuoi saperlo », soggiunse dopo un momento, « le ho anche permesso di darmi un bacio... ma come da sorella a sorella... poi, siccome insisteva e mi seccava, l’ho mandata via: ecco tutto... adesso, dimmi, sei ancora geloso? » Marcello aveva insistito affinché Giulia parlasse di Lina, soprattutto per ritrovare ancora una volta la solita differenza tra lui e la moglie: lui sconvolto tutta la vita per una cosa che non era avvenuta; la moglie, invece, aperta a tutte le esperienze, indulgente e dimentica nella carne prim’ancora che nell’animo. Domandò dolcemente : « Ma, tu, in passato, hai mai avuto di questi rapporti? »
« No, mai », ella rispose con decisione. Questo tono reciso era cosi insolito in lei che Marcello capi subito che mentiva. Insistette: « Avanti... perché mentire?... Chi non conosce queste cose, non si comporta come ti sei comportata tu con la signora Quadri... di’ la verità! »
« Ma che te ne importa ? »
« Mi interessa di saperlo ».
Giulia tacque un momento, gli occhi bassi, poi disse lentamente: «Sai, quella storia con quell’uomo, con quell’avvocato?... Fino al giorno che ti incontrai mi aveva dato un vero orrore degli uomini... cosi ebbi un’amicizia, ma durò poco... con una ragazza, una studentessa, della mia età... mi voleva veramente bene e fu soprattutto questo suo affetto, in un momento in cui ne avevo tanto bisogno, che mi convinse... poi diventò esclusiva, esigente, gelosa e allora troncai i rapporti... ogni tanto la rivedo a Roma, qua e là... poveretta, mi vuol sempre bene». Ora sul suo viso, dopo un momento di reticenza e di imbarazzo, era tornata la solita espressione placida. Soggiunse, prendendogli la mano: «Sta tranquillo, non esser geloso, lo sai che non amo che te ».
« Lo so », disse Marcello. Ricordava adesso le lagrime di Giulia nel vagone letto, il suo tentativo di suicidio e capiva che era sincera. Mentre, convenzionalmente, aveva veduto il tradimento nella mancata verginità, ella non annetteva veramente alcuna importanza a questi suoi passati trascorsi. Intanto Giulia riprendeva : « Ma ti dico, quella donna è proprio matta... lo sai cosa vorrebbe? Che tra qualche giorno ci trasportassimo tutti quanti in Savoia, dove loro hanno una casa... anzi, figurati, ha già fatto un programma».
« Quale programma? »
« Il marito parte domani; lei invece rimane ancora qualche giorno a Parigi... dice per affari suoi, ma io invece sono convinta che ci rimane per me... ci propone di partire insieme e andare a passare una settimana con loro in montagna... che siamo in viaggio di nozze, non le passa per la testa... per lei è come se tu non esistessi... mi ha scritto l’indirizzo della casa in Savoia e mi ha fatto giurare che ti avrei persuaso ad accettare l’invito... »
« E qual è quest’indirizzo? »
« Eccolo là», disse Giulia indicando un pezzo di carta sul marmo del comodino, « ma che, per caso vorresti accettare? »
« No, ma forse tu ».
« Per carità, ma credi davvero che io dia importanza a quella donna... se ti dico che l’ho mandata via perché mi seccava con le sue insistenze ». Si era, intanto, alzata dal letto, e, sempre discorrendo, usci dalla camera. « A proposito », gridò dal bagno, « qualcuno mezz’ora fa aveva telefonato per te... una voce d’uomo, un italiano... non ha voluto dire chi era... ma ha lasciato un numero pregandoti di telefonare più presto che puoi... il numero l’ho segnato su quello stesso pezzo di carta».
Marcello prese il foglietto, trasse di tasca un taccuino e con cura annotò cosi l’indirizzo della casa savoiarda dei Quadri come il numero di Orlando. Gli pareva, adesso, di essere rientrato in se stesso dopo l’effimera esaltazione di quel pomeriggio; e lo avvertiva soprattutto dall'automatismo dei suoi atti e dalla malinconia rassegnata che li accompagnava. Cosi tutto era finito, pensò riponendo in tasca il taccuino, e quella fugace apparizione dell’amore nella sua vita non era stata, in fin dei conti, che una scossa di assestamento di questa stessa vita nella sua forma definitiva. Ripensò un momento a Lina e gli parve di ravvisare un segno manifesto del destino nella sua improvvisa passione per Giulia che, mentre aveva consentito a lui di conoscere l’indirizzo della casa in Savoia, nello stesso tempo faceva sì che quando Orlando e i suoi uomini vi si fossero presentati, ella non ci sarebbe ancora stata. La partenza solitaria di Quadri, la permanenza di Lina a Parigi combaciavano, insomma, perfettamente col piano della missione; se le cose fossero andate altrimenti, non si vedeva come lui e Orlando avrebbero potuto portarla a termine.
Si alzò, gridò alla moglie che scendeva ad aspettarla nell’atrio, e usci. C’era una cabina telefonica in fondo al corridoio e vi andò senza fretta, quasi automaticamente. Soltanto alla voce dell’agente che, dal corno di ebanite del ricevitore, gli domandava, scherzosamente: « Allora, dottore, dove lo facciamo questo pranzetto? », gli parve di uscire dalla nebbia dei propri pensieri. Con calma, parlando piano ma chiaro, incominciò ad informare Orlando del viaggio di Quadri.
 
Alberto Moravia
Il conformista