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Alberto Moravia - Il conformista

PARTE SECONDA
CAPITOLO QUINTO

Come Marcello entrò in casa di Quadri, fu subito colpito dalla differenza con l’appartamento in cui l’aveva visto la prima e l’ultima volta, a Roma. Già il palazzo, situato in un quartiere moderno, in fondo ad una stradina serpeggiante, simile, coi molti balconi rettangolari sporgenti dalla liscia facciata, ad un cassettone con tutti i cassetti aperti, gli aveva dato il senso di un vivere ovvio e anonimo, informato ad una specie di mimetismo sociale; come se Quadri, stabilendosi a Parigi, avesse tenuto a confondersi con la massa tutta eguale della borghesia agiata francese. Poi, una volta entrato, la differenza si accentuò: la dimora romana era vecchia, buia, ingombra di suppellettili, di libri e di carte, polverosa e negletta; questa invece luminosa, nuova, pulita con pochi mobili e nessuna traccia di studi. Aspettarono alcuni minuti nel salotto, una stanza spaziosa e nuda con un solo gruppo di poltrone confinate in un angolo, intorno un tavolo dal piano di vetro. Unico particolare di gusto meno solito, un grande quadro appeso ad una delle pareti, opera di un pittore cubista: una mischia fredda e decorativa di sfere, cubi, cilindri, e parallele variamente colorate. Di libri, quei libri che avevano tanto colpito Marcello a Roma, neppure uno. Sembrava, pensò considerando il pavimento di legno lucidato a cera, le lunghe tende chiare, le pareti vuote, di essere sulla ribalta di un teatro moderno, nella messa in scena sommaria ed elegante allestita per un dramma di pochi personaggi e di una sola situazione. Quale dramma? Senza dubbio il suo e di Quadri; ma, mentre la situazione gli era ormai nota, gli pareva, non sapeva perché, che non tutti i personaggi si fossero svelati. Qualcuno ancora mancava e, chissà, forse il suo intervento avrebbe modificato completamente la situazione stessa.
Quasi a confermare questo oscuro presentimento, la porta in fondo al salotto si apri e invece di Quadri, entrò una giovane donna, la stessa probabilmente, come pensò Marcello, che gli aveva parlato in francese al telefono. Si avvicinò attraverso il pavimento specchiante, alta e singolarmente elastica e graziosa nel modo di camminare, in un bianco vestito estivo dalla gonna scampanata. Per un momento Marcello non potè impedirsi dal guardare, con una specie di furtivo piacere, all’ombra del corpo di lei, profilata nella trasparenza dell’abito : ombra opaca ma dai contorni precisi, elegante, come di ginnasta o di danzatrice. Poi levò gli occhi al viso e fu sicuro di averla già veduta prima di allora, senza tuttavia spiegarsi dove né quando. Ella si avvicinò a Giulia, le strinse le due mani con familiarità quasi affettuosa e le spiegò in italiano corretto ma con un forte accento francese che il professore era occupato e sarebbe venuto tra qualche minuto. Meno cordialmente, come parve a Marcello, anzi quasi di sfuggita, lo salutò di lontano; quindi li invitò a sedersi. Mentre ella discorreva con Giulia, Marcello la studiò attentamente, curioso di definire a se stesso il ricordo oscuro per cui gli pareva di averla già conosciuta. Era di alta statura, con mani e piedi grandi, spalle larghe, e vita di incredibile snellezza cui davano risalto il petto gonfio e i fianchi ampi. Il collo lungo e sottile sorreggeva un viso pallido, privo di belletto, poco fresco e come macerato sebbene giovanile, dall’espressione vispa, ansiosa, inquieta e pronta. Dove l’aveva già veduta? Come se si fosse sentita osservata, ella si voltò improvvisamente verso di lui; e allora dal contrasto tra lo sguardo inquieto e intenso e la serenità luminosa dell’alta fronte bianca, capi ad un tratto dove l’avesse già incontrata o meglio dove avesse incontrato una persona simile a lei : nella casa di tolleranza di S., quando, rientrato nella sala comune per prendervi il cappello, aveva trovato Orlando in compagnia della prostituta Luisa. A dire il vero, la somiglianza consisteva tutta nella particolare forma, bianchezza e luminosità della fronte, simile, anche in costei, ad un diadema regale; per il resto le due donne differivano sensibilmente. La prostituta aveva la bocca larga e sottile; questa, piccola, carnosa, serrata, paragonabile, come pensò, ad una rosa esigua dai petali fitti e un po’ avvizziti. Altra differenza: la mano della prostituta era muliebre, liscia, carnale; questa aveva invece una mano quasi d’uomo, dura, rossa, nervosa. Finalmente la prostituta aveva l'orribile voce rauca cosi frequente tra le donne della sua professione; la voce di questa, invece, era secca, limpida, astratta, piacevole come una musica razionale e sottile: una voce di società.
Marcello notò queste somiglianze e queste differenze; e poi, mentre la donna discorreva con la moglie, notò anche l’estrema freddezza del suo atteggiamento verso di lui. Forse, come pensò, era stata informata da Quadri dei suoi passati sentimenti politici; e avrebbe preferito non riceverlo. Si domandò pure chi potesse essere: Quadri, a quanto ricordava, non era sposato; costei, dai modi ufficiosi, si sarebbe detta una segretaria o, quanto meno, un’ammiratrice in veste di segretaria. Ripensò al sentimento provato nella casa di S., quando aveva veduto la prostituta Luisa ascendere la scala al fianco di Orlando: sentimento di rivolta impotente, di pietà straziata; e, tutto ad un tratto, capi che quel sentimento non era stato in realtà che desiderio dei sensi mascherato da spirituale gelosia: il quale adesso gli tornava intero e senza più maschere per la donna che gli sedeva di fronte. Ella gli piaceva, in una maniera nuova e sconvolgente; ed egli desiderava piacerle; e quell’ostilità che traspariva da ogni gesto di lei l’addolorava acerbamente. Disse, alla fine, quasi suo malgrado, pensando non a Quadri ma a lei : « Ho l’impressione che la nostra visita non faccia piacere al professore... forse è troppo occupato».
La donna rispose subito, senza guardarlo : « Al contrario, mio marito mi ha detto che vi vedeva con molto piacere... si ricordava benissimo di lei... tutti coloro che vengono dall’Italia sono bene accolti qui... è vero, è molto occupato... ma la sua visita gli è particolarmente gradita... aspetti, vado a vedere se viene». Queste parole furono pronunziate con una sollecitudine inaspettata che riscaldò il cuore di Marcello. Come ella fu uscita, Giulia domandò senza tuttavia mostrare alcuna curiosità : « Perché credi che il professor Quadri non abbia piacere a vederci ? »
Marcello rispose con calma: «Me l’ha fatto pensare l’atteggiamento ostile di questa signora».
« Strano », esclamò Giulia, « a me ha fatto invece l’impressione contraria... mi è sembrata cosi contenta di vederci... come se ci conoscessimo già... ma tu la avevi già incontrata prima? »
« No », egli rispose con la sensazione di mentire, « mai prima di oggi... non so neppure chi sia».
« Non è la moglie del professore ? »
«Non so, Quadri non mi risulta che fosse sposato... sarà forse la sua segretaria».
«Ma se ha detto: mio marito», esclamò Giulia sorpresa; « dov’eri con la testa?... Ha detto proprio questo: mio marito... a che pensavi? »
Cosi, non potè fare a meno di riflettere Marcello, la donna lo turbava al punto da renderlo distratto fino alla sordità. Questa scoperta gli fece piacere e per un momento, stranamente, desiderò di parlarne a Giulia, come se ella non fosse stata parte in causa, ma una persona estranea a cui avesse potuto confidarsi liberamente. Disse: «Mi ero distratto... la moglie? Ma allora deve essersi sposato da poco».
« Perché ? »
«Perché quando l’ho conosciuto era celibe».
«Ma tu e Quadri non vi scrivevate?»
« No, era il mio professore, poi andò a stabilirsi in Francia e oggi lo vedrò per la prima volta dopo di allora ».
«Curioso, credevo che foste amici».
Segui un lungo silenzio. Poi la porta su cui Marcello fissava gli occhi senza impazienza, si apri e sulla soglia apparve qualcuno in cui, a tutta prima, non riconobbe Quadri. Quindi, dal viso gli occhi gli andarono alla spalla, ritrovò la prominenza che l’alzava fino quasi all’orecchio e comprese che Quadri si era semplicemente tagliata la barba. Adesso ritrovava la forma bizzarra quasi esagonale del viso, quella sua consistenza unidimensionale, come di piatta maschera dipinta e fornita di parrucca nera. Riconosceva pure gli occhi, fissi e brillanti, cerchiati di rosso; il naso triangolare, simile ad un batocchio; la bocca informe, specie di cerchio di carne rossa e viva. Sola novità, il mento, un tempo nascosto dalla barba. Era piccolo e storto, profondamente ripiegato sotto il labbro inferiore, di una bruttezza significativa, forse denotante un carattere dell'uomo.
Quadri invece del vestito da banchiere che Marcello gli aveva veduto la prima e l’ultima volta che si era incontrato con lui, indossava, con una preferenza di gobbo per le tinte chiare, un abito sportivo color tortora. Sotto la giacca aveva una camicia a scacchi rossi e verdi, da buttero americano, e una cravatta vistosa. Disse venendo incontro a Marcello, in tono cordiale e, al tempo stesso, del tutto indifferente: « Clerici, non è vero?... Ma sicuro, mi ricordo benissimo di lei... anche perché fu l’ultimo studente che venne a trovarmi prima della mia partenza dall’Italia... sono molto contento di rivederla, Clerici».
Anche la voce, pensò Marcello, era rimasta la stessa: dolcissima e insieme casuale, affettuosa e insieme distratta. Intanto presentava la moglie a Quadri il quale, con galanteria forse ostentata, si inchinava a baciare la mano che Giulia gli tendeva. Come si furono seduti, Marcello disse, con impaccio : « Sono in viaggio di nozze a Parigi, e allora ho pensato di venire a trovarla... era il mio professore... ma forse l’ho disturbato».
« Ma no, caro figliolo», rispose Quadri con la solita dolcezza struggente, « no, al contrario, mi ha fatto molto piacere... ha fatto benissimo a ricordarsi di me... chiunque venga dall’Italia, se non altro perché mi parla nella bella lingua italiana, è bene accolto qui da me». Prese dal tavolo una scatola di sigarette, ci guardò dentro, e vedendo che non ne conteneva che una, l’offri con un sospiro a Giulia: « Prenda signora... io non fumo, e neppure mia moglie e cosi ci dimentichiamo sempre che gli altri amano fumare... dunque le piace Parigi?... Immagino che non sia la prima volta che ci viene ».
Cosi, pensò Marcello, Quadri voleva fare la conversazione convenzionale. Rispose per Giulia : « No, è la prima volta, per tutti e due».
« In tal caso », disse Quadri sollecitamente, « vi invidiò... è sempre invidiabile chi capita per la prima volta in questa bellissima città... e per giunta in viaggio di nozze, e in questa stagione, la migliore per Parigi ». Sospirò di nuovo e domandò con cortesia a Giulia : « E che impressione le ha fatto Parigi, signora? »
«A me?» disse Giulia guardando non a Quadri ma al marito. « Veramente non ho ancora avuto il tempo di vederla... siamo arrivati ieri».
« Vedrà, signora, è una città molto bella, bellissima proprio », disse Quadri con accento generico e come pensando ad altro. « E più ci si vive più si è conquistati da questa bellezza... ma, signora, non guardi soltanto ai monumenti che sono notevoli, senza dubbio, ma non superiori a quelli delle città italiane... giri, si faccia accompagnare da suo marito per i quartieri di Parigi... la vita di questa città ha una varietà di aspetti veramente sorprendente... ».
«Per ora abbiamo visto poco», disse Giulia che non pareva rendersi conto del carattere convenzionale e quasi ironico dei discorsi di Quadri. E quindi, rivolta al marito, tendendo una mano a toccargli la sua, carezzevolmente : « Ma gireremo, non è vero Marcello? »
« Sicuro», disse Marcello.
« Dovrebbero », riprese Quadri sempre con lo stesso tono, « dovrebbero soprattutto conoscere il popolo francese... è un popolo simpatico... intelligente, libero... e sebbene ciò contraddica in parte l’idea che di solito ci si fa dei francesi, anche buono... in loro l’intelligenza, cosi fine e sensibile, è diventata una forma di bontà... conoscono qualcuno a Parigi? »
« Non conosciamo nessuno », rispose Marcello, « e d’altronde temo che non sarà possibile... ci fermiamo appena una settimana».
«Peccato, veramente peccato... non si può apprezzare nel suo vero valore un paese, se non se ne conoscono gli abitanti... ».
« Parigi è la città dei divertimenti notturni, non è vero ? » domandò Giulia che pareva trovarsi perfettamente a suo agio in questa conversazione da manuale turistico, « noi non abbiamo visto ancora nulla... ma vogliamo andarci... ci sono tante sale da ballo, e locali notturni, non è vero? »
« Ah si, i tabarins, le boites, le scatole come le chiamano qui », disse il professore con aria distratta. « Montmartre, Montparnasse... noi, a dir la verità, non le abbiamo mai frequentate molto... qualche volta al passaggio di un amico italiano, abbiamo approfittato della sua ignoranza in tale materia per istruirci noi stessi... sempre le stesse cose però... seppure fatte con la grazia e l’eleganza che sono proprie a questa città... vede, signora, il popolo francese è un popolo serio, molto serio... con abitudini fortemente familiari... forse la stupirò dicendole che la grande maggioranza dei parigini non ha mai messo il piede nelle boites... la famiglia qui è molto importante, ancor più che in Italia... e sono spesso dei buoni cattolici ... più che in Italia, con una devozione meno formale, più sostanziosa... cosi non è sorprendente che le boites le lascino a noialtri stranieri... un’ottima fonte di denaro, del resto... Parigi deve una buona parte della sua prosperità proprio alle boites e in genere alla sua vita notturna ».
« Curioso », disse Giulia, « io credevo invece che i francesi si divertissero molto di notte ». Arrossi e soggiunse : « Mi avevano detto che i tabarins stanno aperti tutta la notte e che sono sempre pieni... come da noi, un tempo, di carnevale».
« Si », disse il professore distrattamente, « ma coloro che ci vanno sono in prevalenza stranieri ».
« Non importa », disse Giulia, « mi piacerebbe molto vederne almeno uno... se non altro per poter dire di esserci stata».
La porta si apri e la signora Quadri entrò reggendo sulle due mani un vassoio con il bricco e le tazze del caffè. « Scusatemi », disse allegramente, chiudendo con un piede la porta, « ma le cameriere francesi non sono come quelle italiane... oggi era giornata di libertà per la mia cameriera e se ne è andata subito dopo colazione... bisogna fare tutto da noi ». Era veramente allegra, pensò Marcello, in una maniera impreveduta; e c’era molta grazia in quest’allegria e nei gesti della grande persona leggera e disinvolta.
« Lina », disse il professore perplesso, «la signora Clerici vorrebbe vedere una boite... quale possiamo raccomandarle ? »
« Oh ce ne sono tante, non è davvero la scelta che manca », ella rispose lietamente, versando il caffè nelle tazze, la persona intera appoggiata su una gamba, l’altra protesa in fuori, come a mostrare il grande piede calzato di una scarpa senza tacco, « ce n’è per tutti i gusti e per tutte le borse ». Diede a Giulia la tazza e poi soggiunse sbadatamente : « Ma si potrebbe portarceli noi, Edmondo, in una boite... sarebbe una buona occasione per te, di distrarti un poco».
Il marito si passò una mano sul mento come se avesse voluto accarezzarsi la barba e rispose: «Certo, sicuro, perché no? »
« Sapete che facciamo ? » ella continuò servendo il caffè a Marcello e al marito, « siccome dobbiamo cenare fuori in ogni caso, ceniamo insieme in un piccolo ristorante della riva destra, non caro, ma dove si mangia bene, " Le coq au vin ”, e poi, dopo cena, andiamo a vedere un locale molto bizzarro... ma la signora Clerici non dovrà scandalizzarsi ».
Giulia rise, rallegrata da quella allegria: «Non mi scandalizzo cosi facilmente ».
« È una boite che si chiama La cravate noire, la cravatta nera », ella spiegò sedendosi sul divano accanto a Giulia, « è un locale dove vanno delle persone un poco particolari », soggiunse guardando Giulia e sorridendo.
« Come sarebbe a dire ? »
«Delle donne dai gusti speciali... vedrà... la padrona e le cameriere sono tutte in smoking, con la cravatta nera... vedrà, sono cosi buffe ».
« Ah, ora capisco », disse Giulia un po’ confusa, « ma possono andarci anche degli uomini ? »
 
Alberto Moravia
Il conformista