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Alberto Moravia - Il conformista

PARTE SECONDA
CAPITOLO QUARTO

Dopo colazione, Giulia volle tornare all’albergo per cambiare di vestito prima di recarsi da Quadri. Ma come furono discesi dall’ascensore ella gli passò un braccio intorno alla vita e sussurrò : « Non è vero che volevo cambiarmi... volevo soltanto stare un poco sola con te». Camminando per il lungo corridoio deserto, tra due file di porte chiuse, la vita circondata da quel braccio affettuoso, Marcello non potè fare a meno di dirsi che mentre per lui quel viaggio a Parigi era anche e soprattutto la missione, per Giulia era invece soltanto un viaggio di nozze. Ne seguiva, come pensò, che non gli era consentito di distrarsi dalla parte di sposo novello che, salendo in treno con lei, aveva accettato di recitare; anche se talvolta, come era adesso il caso, provava un sentimento angoscioso molto lontano dal turbamento d’amore. Ma questa era la normalità a cui aveva tanto anelato: questo braccio girato intorno la vita, questi sguardi, queste carezze; e ciò che si apprestava a fare con Orlando, non era che il prezzo di sangue di simile normalità. Intanto erano giunti alla loro camera: Giulia senza lasciargli la vita, con l’altra mano apri ed entrò insieme con lui.
Una volta dentro, ella lo lasciò, diede un giro alla chiave nella toppa e gli disse : « Socchiudi la finestra, vuoi? » Marcello andò alla finestra e abbassò la persiana; come si voltò vide che Giulia, ritta presso il letto, già si sfilava il vestito per il capo; e gli sembrò di capire che cosa ella avesse voluto intendere, dicendo : « volevo soltanto stare un poco sola con te ». In silenzio andò a sedersi sulla sponda del letto, dall’altra parte di Giulia. Adesso ella era rimasta in sottoveste e calze. Dispose con molta cura il vestito su una seggiola a capo del letto, si tolse le scarpe, finalmente con gesto maldestro, prima una gamba e poi l’altra, si distese dietro di lui, supina, un braccio ripiegato sotto la nuca. Ella tacque un momento e poi disse: «Marcello».
« Che c’è? »
«Perché non ti distendi qui, accanto a me? » Ubbidiente Marcello si chinò, si tolse le scarpe e si distese sul letto a fianco della moglie. Giulia gli si fece subito accanto, sollecita, stringendo il proprio corpo contro il suo e domandando affannosamente: « Che hai ? »
« Io? Nulla... perché? »
«Non so, mi sembri tanto preoccupato».
« È un’impressione che dovresti avere spesso », egli rispose, « il mio umore normale, lo sai, non è spensierato... ma questo non vuol dire che io sia preoccupato ».
Ella tacque, abbracciandolo. Quindi riprese : « Non era vero che ti avevo chiesto di venire qui per prepararmi... ma non era neanche vero che volevo stare sola con te... la verità è un’altra».
Questa volta Marcello si stupì e quasi provò rimorso di averla sospettata di una semplice avidità erotica. Abbassando gli sguardi, vide gli occhi di lei, pieni di lagrime, che lo fissavano di sotto in su. Affettuosamente, ma non senza qualche fastidio, domandò: «Ora sono io che debbo domandarti che cosa tu abbia ».
« Hai ragione », ella rispose. E incominciò subito a piangere, con silenziosi singhiozzi di cui egli avvertiva le scosse contro il proprio corpo. Marcello aspettò un poco sperando che questo pianto incomprensibile finisse. Ma invece il pianto pareva raddoppiare di intensità. Allora domandò, fissando gli occhi verso il soffitto : « Ma si può sapere perché piangi ? »
Giulia singhiozzò ancora un poco e poi rispose: « Per nessun motivo... perché sono una stupida », già con una punta di consolazione nella voce addolorata.
Marcello chinò gli occhi verso di lei e insistette: «Su... perché piangi?» La vide guardarlo con quei suoi occhi lagrimosi in cui già pareva riflettersi una luce di speranza; poi Giulia sorrise appena e andò con la mano a prendergli il fazzoletto dal taschino. Si asciugò gli occhi, si soffiò il naso, gli ripose il fazzoletto nel taschino e abbracciandolo di nuovo, sussurrò : « Se te lo dico perché piangevo, tu penserai che sono matta ».
« Su coraggio », egli disse accarezzandola, « dimmi perché piangevi ».
« Figurati », ella disse, « durante la colazione ti ho veduto cosi distratto, anzi preoccupato, che ho pensato che tu ne avessi già abbastanza di me e ti fossi pentito di avermi sposata... forse per quella cosa che ti ho raccontato in treno, sai, quell’avvocato, forse perché hai già capito che hai fatto una sciocchezza, tu, con l’avvenire che hai, con la tua intelligenza e anche la tua bontà, a sposare una disgraziata come me... allora, dopo aver pensato queste cose, ho pensato di far prima io... ossia di andarmene senza dirti nulla per toglierti anche il fastidio del congedo... ho deciso, appena fossimo tornati all’albergo, di far la valigia e partire... di tornare subito in Italia lasciandoti a Parigi ».
« Ma tu non parli sul serio », esclamò Marcello sorpreso.
«Altro che serio», ella riprese, sorridendo, lusingata dal suo stupore, « pensa che mentre eravamo giù nell’atrio dell’albergo e tu ti sei allontanato un momento per comprare le sigarette, sono andata dal portiere e l’ho pregato di fissarmi un posto nel vagone letto per Roma, per stasera... proprio sul serio, come vedi».
« Ma tu sei matta », disse Marcello alzando suo malgrado la voce.
« Te l’ho detto », ella rispose, « che avresti pensato che sono matta... in quel momento però ero sicura, assolutamente sicura che avrei fatto il tuo bene lasciandoti, andandomene... si, ne ero sicura come sono sicura adesso », ella soggiunse tirandosi su fino a sfiorargli con le labbra la bocca, « che ti do questo bacio ».
« Perché eri cosi sicura? » domandò Marcello turbato.
« Non so... cosi... come si è sicuri di tante cose... senza alcun motivo».
« E poi », egli non potè fare a meno di esclamare quasi con una remota sfumatura di rammarico, « perché hai cambiato idea ? »
« Perché? Chi lo sa?... Forse perché nell’ascensore mi hai guardato in un certo modo o almeno ho avuto l’impressione che tu mi guardassi in un certo modo... ma poi, mi sono ricordata che avevo deciso di partire e che avevo ordinato il vagone letto e allora, pensando che ormai non potevo più tirarmi indietro, mi sono messa a piangere ».
Marcello non disse nulla. Giulia interpretò a modo suo questo silenzio, e domandò: «Sei seccato... di’... sei seccato per via del vagone letto?... Ma lo riprendono sai... pagando soltanto il venti per cento ».
« Che assurdità », egli rispose lentamente e come riflettendo.
« Allora », ella disse soffocando una risata incredula in cui, però, tremava ancora qualche timore, « sei seccato perché non sono partita davvero ? »
« Altra assurdità », egli rispose. Ma questa volta gli sembrò di non essere del tutto sincero. E come per sopprimere un’ultima esitazione o un ultimo rimorso, soggiunse : « Se tu te ne fossi andata, la mia vita intera sarebbe crollata». E questa volta gli sembrò di aver detto la verità, sebbene in maniera ambigua. Non sarebbe forse stato desiderabile che la sua vita, quella vita che aveva costruito a partire dal fatto di Lino, crollasse del tutto invece di sovraccaricarsi di altri fardelli e altri impegni, come un palazzo assurdo a cui un infatuato proprietario aggiunge belvederi, torricelle e balconi fino a comprometterne la solidità? Senti le braccia di Giulia avvolgerlo ancor più strettamente, in un abbraccio amoroso; poi la voce di lei sussurrargli: «Dici davvero? »
« Si », rispose, « dico davvero ».
« Ma cosa avresti fatto», ella insistette con una sua compiaciuta e quasi vanitosa curiosità, « se veramente ti avessi lasciato e fossi partita... mi saresti corso dietro? »
Egli esitò e poi rispose, e di nuovo gli parve che nella sua voce echeggiasse quel lontano rammarico. « No, non credo... non ti ho forse detto che la mia vita intera sarebbe crollata? »
« Saresti rimasto in Francia ? »
« Si, forse ».
« E la tua carriera? Avresti spezzato la tua carriera ? »
« Senza di te, non avrebbe più avuto senso... », egli spiegò con calma, « faccio quello che faccio perché ci sei tu».
« Ma cosa avresti fatto, allora? » Ella pareva provare quasi un crudele piacere a immaginarlo solo, senza di lei.
«Avrei fatto quello che fanno tutti coloro che abbandonano il proprio paese e la propria professione per motivi di questo genere; mi sarei adattato a qualsiasi mestiere: lo sguattero, il marinaio, l’autista... oppure mi sarei arruolato nella legione straniera... ma perché ti preme tanto di saperlo?»
« Cosi... tanto per parlare... nella legione straniera? Con un altro nome? »
« Probabilmente ».
« Dove risiede la legione straniera ? »
« Nel Marocco, credo... e anche in altri luoghi ».
« Nel Marocco... e invece io sono rimasta », ella mormorò stringendosi a lui con una sua forza ghiotta e gelosa. Poi segui il silenzio: adesso Giulia non si muoveva più, e, come Marcello la guardò, vide che aveva chiuso gli occhi : pareva che dormisse. Allora chiuse anche lui gli occhi, con desiderio di assopirsi. Ma non gli riuscì di dormire sebbene si sentisse prostrato da una stanchezza e da un torpore mortali. Provava una sensazione dolorosa e profonda, come di ribellione contro tutto l'esser suo; e gli tornava, insistente, alla mente, un paragone singolare : egli era un filo, nient’altro che un filo di umanità attraverso il quale passava senza posa una corrente di energia terribile che non dipendeva da lui di rifiutare o di accettare. Un filo simile a quei fili dell’alta tensione, attaccati a pali sui quali è scritto:
« Pericolo di morte ». Egli non era che uno di questi fili conduttori e la corrente talvolta gli ronzava attraverso il corpo senza dargli fastidio, anzi infondendogli una maggiore vitalità, ma talaltra, come, per esempio, adesso, gli pareva troppo forte, troppo intensa, ed egli allora avrebbe voluto essere un filo non più teso e vibrante ma divelto e abbandonato alla ruggine su un mucchio di detriti, in fondo ad un cortile di officina. E poi perché proprio lui doveva sopportare di trasmettere la corrente, mentre tanti non ne erano neppure sfiorati? E ancora, perché la corrente non si interrompeva mai, non cessava mai un solo momento di fluirgli attraverso? Il paragone si articolava, si ramificava in domande senza risposta; e intanto cresceva il suo doloroso e voglioso torpore, annebbiandogli la mente, oscurandogli lo specchio della coscienza. Finalmente si assopì e gli parve che il sonno avesse interrotto in qualche modo la corrente e che egli fosse davvero, per una volta, un troncone di filo rugginoso, gettato in un canto con altri rifiuti. Ma nello stesso momento senti una mano toccargli il braccio, balzò a sedere e vide Giulia ritta presso il letto, tutta vestita, il cappello in capo. Ella disse a bassa voce: «Dormi? Non dobbiamo andare da Quadri? »
Marcello si sollevò a fatica e per un momento fissò in silenzio gli occhi nella penombra della stanza, traducendo mentalmente: «Non dobbiamo ammazzare Quadri? » Quindi domandò, quasi per gioco: «E se non ci andassimo da Quadri... se, invece, ci facessimo una buona dormita? »
Era una domanda importante, pensò guardando Giulia di sotto in su; e forse non era troppo tardi per mandare a monte ogni cosa. La vide considerarlo incerta, quasi scontenta, come pareva, che le proponesse di restare in albergo ora che aveva fatto i preparativi per uscire. Poi ella disse : « Ma hai già dormito... quasi un’ora... e poi non mi avevi forse detto che questa visita a questo Quadri era importante per la tua carriera? »
Marcello tacque un momento e poi rispose : « Si è vero... è molto importante ».
« Allora », ella disse allegramente chinandosi e dandogli un bacio sulla fronte, « che stai a pensarci su? Spicciati, su, vestiti, non fare il poltrone».
« Ma io non vorrei andarci », disse Marcello fingendo di sbadigliare. « Vorrei soltanto dormire », soggiunse, e questa volta gli sembrò di essere sincero, «dormire, dormire e dormire».
« Dormirai stanotte », rispose Giulia leggermente andando allo specchio e guardandosi con attenzione « hai preso un impegno, ormai è tardi per cambiare programma ». Parlava con bonaria saggezza, al solito; ed era sorprendente, pensò Marcello, e al tempo stesso oscuramente significativo, che dicesse sempre le cose giuste senza saperlo. In quel momento squillò il telefono sul comodino. Marcello, levandosi su un gomito, staccò il ricevitore e l’avvicinò all’orecchio. Era il portiere che l’informava di avere fissato il vagone letto per Roma, quella sera. « Lo disdica », disse Marcello senza esitare, « la signora non parte più». Giulia, dallo specchio in cui stava mirandosi, gli rivolse uno sguardo di timida gratitudine. Marcello disse, abbassando il ricevitore: «Ecco fatto... lo disdiranno e cosi non parti più ».
« Sei arrabbiato con me ? »
« Ma che ti viene in mente ? »
Discese dal letto, si infilò le scarpe, passò nel bagno. Mentre si lavava e si pettinava, si domandò che cosa avrebbe detto Giulia se le avesse rivelato la verità sulla sua professione e sul viaggio di nozze. Gli parve di potere senz’altro rispondere che non soltanto non l’avrebbe condannato ma anche alla fine l’avrebbe approvato, sia pure spaventandosi e magari domandandogli se fosse proprio necessario che facesse quel che faceva. Giulia era buona, senza dubbio, ma non fuori dei limiti sacri degli affetti familiari; al di là di questi limiti cominciava per lei un mondo oscuro e confuso in cui poteva anche avvenire che un professore gobbo e barbuto venisse assassinato per motivi politici. Allo stesso modo, concluse dentro di sé uscendo dal bagno, doveva ragionare e sentire la moglie dell’agente Orlando. Giulia che aspettava seduta sul letto, si levò in piedi dicendo : « Sei seccato perché non ti ho lasciato dormire? Avresti preferito non andare da Quadri ? »
« Al contrario, hai fatto bene », rispose Marcello precedendola nel corridoio. Adesso si sentiva rinfrancato e gli sembrava di non provare più alcun sentimento di ribellione contro il proprio destino. La corrente di energia gli fluiva tuttora per il corpo ma senza dolore né difficoltà, come per un canale naturale. Fuori dell’albergo, sul lungosenna, guardò al profilo grigio dell’immensa città, al di là dei parapetti, sotto il vasto cielo sereno. Davanti a lui, si allineavano gli scaffali dei libri usati, i passanti camminavano piano soffermandosi ad osservarli. Gli parve persino di rivedere il giovane malvestito, col libro sotto il braccio, che incedeva lentamente lungo gli scaffali, risalendo il marciapiede in direzione di Notre-Dame. O forse era un altro, simile nel modo di vestire, nell’atteggiamento e anche nel destino. Ma gli sembrò di guardarlo senza invidia, seppure con diaccio e fermo sentimento di impotenza: lui era lui e il giovane era il giovane, e non c’era nulla da fare. Un taxi passava, egli lo fermò con un cenno della mano e sali dopo Giulia dando l’indirizzo di Quadri.
 
Alberto Moravia
Il conformista