Schede di grammatica italiana
A 2
ABBRIVO O ABBRIVIO?
Sono corrette entrambe le forme. Quella più antica e più frequente nella storia dell’italiano è abbrivo, sostantivo derivato a suffisso zero dal verbo abbrivare, che ha il significato sia di ‘mettere in moto’, sia di ‘acquistare velocità’.
Oggi però abbrivio (variante dovuta forse a un incrocio con la parola avvio) risulta molto più frequente, soprattutto nelle espressioni figurate dare o prendere l’abbrivio
Da lì prese l’abbrivio per altre imprese («Quitouring»).
ABROGO: ÀBROGO O ABRÒGO?
La pronuncia corretta è àbrogo: come in dèrogo e intèrrogo si è mantenuta l’accentazione sdrucciola che la parola aveva in latino. La pronuncia abrògo (come derògo e interrògo) è dunque sconsigliabile.
L’accento si sposta sulla penultima sillaba (la pronuncia è quindi piana) solo nella 1a e 2a persona plurali, perché per queste persone cade sempre sulla desinenza e non sulla radice.
INDICATIVO, PRESENTE
io àbrogo
tu àbroghi
lui /lei àbroga
noi abroghiàmo
voi abrogàte
loro abrògano
VEDI ANCHE
accento
ACCECARE O ACCIECARE?
La grafia preferibile in tutte le voci del verbo è
io acceco, tu accechi ecc.
Nell’italiano cieco, da cui il verbo deriva, la i non è etimologica (la base è il latino caecum) e non viene pronunciata: la sua presenza si deve alla cristallizzazione grafica di un’antica pronuncia in cui la i ancora si sentiva (come, ad esempio, in piede, dal latino pedem). Nella grafia delle parole derivate da cieco, questa i non si è sempre conservata.
• Nelle parole composte in cui la provenienza è immediatamente riconoscibile, la i tende a conservarsi
moscacieca, sordocieco
Lo stesso accade in ciecamente (più comune e preferibile rispetto a cecamente).
• In altri derivati, come appunto accecare, tende invece a scomparire, pur lasciando una traccia nelle voci in cui su quella sillaba cade l’accento (accieco e accieca sono un po’ meno rare di acciecare o acciecato).
ACCELERARE O ACCELLERARE?
La forma corretta è accelerare: il verbo deriva infatti dall’aggettivo celere (a sua volta dal latino celerem ‘veloce’). La diffusione dell’errato raddoppiamento si deve probabilmente al modello di altri vocaboli che nel passaggio dal latino all’italiano hanno dato esiti diversi.
• Per i casi in cui il raddoppiamento avviene dopo la sillaba accentata, come accellero o accelleri, potrebbe aver contato il modello di macchina, dal latino machinam, o collera, dal latino choleram.
• Per i casi in cui avviene prima della sillaba accentata, come accellerare o accellerato, il modello potrebbe essere stato quello di accademia, dal latino academiam, o seppellire, dal latino sepelire.
ACCENTO
In italiano l’accento consiste nell’aumento dell’intensità con cui viene pronunciata una sillaba (detta sillaba tonica), che acquisisce così maggior rilievo rispetto alle altre sillabe della stessa parola.
Le parole si distinguono a seconda della sillaba sulla quale cade l’accento.
• Sono tronche (o ossitone) le parole con l’accento sull’ultima
liquidità, così, interpretò
• Sono piane (o parossitone) le parole con l’accento sulla penultima
caténa, farfallìna, piàno
• Sono sdrucciole (o proparossitone) le parole con l’accento sulla terzultima
fabbricàrono, èpico, invisìbile
• Molto più rare sono le parole bisdrucciole, con l’accento sulla quartultima
assottìgliameli, ricòrdatela
• Altrettanto rare sono le parole trisdrucciole, con l’accento sulla quintultima
telèfonaglielo, òccupatene
La resa nello scritto dell’accento di parola corrisponde all’accento grafico, che in italiano può essere acuto (´) o grave (`): accento, acuto o grave.
Nell’italiano contemporaneo, l’accento grafico è obbligatorio soltanto in pochi casi.
• Nelle parole tronche che hanno più di una sillaba
carità , però, virtù, comò
comprese quelle formate da più parole, l’ultima delle quali, da sola, andrebbe scritta senza accento
tre> ventitré
me> nontiscordardimé
• In alcuni monosillabi che potrebbero essere erroneamente pronunciati come bisillabi
più, può, ciò, già, giù
• In alcuni monosillabi che devono essere distinti da parole omonime
- dà (verbo dare) / da (preposizione)
La somma dà come risultato dodici / Il prezzo è stato pagato interamente da me
- è (verbo essere) / e (congiunzione)
Jessica Alba è bellissima / Ho fatto merenda con pane e salame
- là (avverbio di luogo) / la (articolo o pronome)
Guarda là / La mela / La vedi?
- lì (avverbio) / li (pronome)
Vengo lì / Li ho tutti in tasca
- né (congiunzione) / ne (avverbio o pronome)
Né carne né pesce / Me ne andrò da qui / Di soldi ne hai?
- sé (pronome) / se (congiunzione)
La cosa in sé / Se sapessi!
- sì (avverbio affermativo) / si (pronome)
Alla fine ha detto sì / Si prende troppo sul serio
- tè (bevanda) / te (pronome)
Un tè tra amiche / Parlami di te
L’accento grafico invece è facoltativo, ma consigliabile, nel caso in cui ci siano parole scritte nello stesso modo ma che vanno pronunciate diversamente (omografi).
• Àltero / altèro
Àltero l’ordine delle cifre per confondere i possibili ladri / Ha uno sguardo torvo e altèro
• Àmbito / ambìto
È un àmbito ristretto / Baggio conquistò l’ambìto premio messo in palio da France Football
• Nòcciolo / nocciòlo
Il nòcciolo della questione / Un albero di nocciòlo
• Prìncipi / princìpi
I prìncipi e le principesse di tutto il mondo / È un uomo di sani princìpi
• Séguito / seguìto
Il séguito alla prossima puntata / Ho seguìto la lezione attentamente
• Sùbito / subìto
Esci sùbito da casa mia! / Gol sbagliato, gol subìto.
USI
Spesso l’accento viene erroneamente utilizzato al posto dell’apostrofo. I casi più diffusi sono, nell’italiano contemporaneo, la grafia pò al posto di quella corretta po’ (un po’ o un pò?) e la grafia dì per la 2a persona dell’imperativo del verbo dire, al posto di quella corretta di’ (di, di’ o dì?).
STORIA
Oltre all’accento grave e a quello acuto, fino alla prima metà del Novecento era disponibile in italiano anche l’accento circonflesso (^), che aveva diversi usi.
• Anticamente indicava, soprattutto in poesia, forme contratte
andarono> andâr
furono> fûr
togliere> tôrre
• Fino a tempi più recenti era usato per rendere la doppia i dei plurali in -io (soprattutto in presenza di omografi), come varî (plurale di vario), distinguibile così dalla forma plurale di varo e dalla 2a persona singolare dell’indicativo presente di variare (entrambe scritte vari).
Questo uso oggi risulta rarissimo e ostentatamente raffinato.
VEDI ANCHE
se o sé?
do o dò?
da, da’ o dà?
si o sì?
va, va’ o và?