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Il conformista 296
Alberto Moravia - Il conformista PARTE SECONDA |
CAPITOLO OTTAVO Come discesero dal taxi, in una straduccia del Quartiere Latino, Marcello alzò gli occhi all’insegna. « Le coq au vin » si leggeva scritto in lettere bianche su fondo marrone, all’altezza, del primo piano di una vecchia casa grigia. Entrarono nel ristorante: un divano di velluto rosso girava tutt’intorno la sala; le tavole erano allineate di fronte al divano; vecchi specchi rettangolari dalle cornici dorate riflettevano in una luce tranquilla il lampadario centrale e le teste dei pochi avventori. Marcello riconobbe subito Quadri, seduto in un angolo accanto alla moglie: più piccolo di lei di tutta la testa, vestito di nero, consultava al disopra degli occhiali la lista delle vivande. Lina, invece, dritta e immobile, in un vestito di velluto nero che faceva risaltare la bianchezza delle braccia e del petto e il pallore del viso, pareva sorvegliare ansiosamente la porta. Ella si alzò di scatto vedendo Giulia e dietro di lei, quasi nascosto da lei, si alzò il professore. Le due donne si strinsero la mano. Marcello levò casualmente gli occhi e, allora, sospesa nella luce gialla e senza sfarzo di uno degli specchi, apparizione incredibile, vide la testa di Orlando che li guardava. Nello stesso momento, l’orologio a pendolo del ristorante si riscosse, cominciò a torcersi e a lamentarsi con le sue viscere metalliche e finalmente batté i colpi. « Le otto », udì esclamare da Lina con voce contenta, « come siete puntuali ». Marcello rabbrividì e, mentre il pendolo continuava a battere quei suoi colpi pieni di lugubre e solenne sonorità, tese la mano a stringere la mano che Quadri gli tendeva. Il pendolo batté con forza l’ultimo colpo ed egli, allora, premendo la sua contro la palma di Quadri ricordò che quella stretta, secondo gli accordi, doveva designare la vittima a Orlando e provò, tutto ad un tratto, quasi la tentazione di chinarsi e baciare Quadri sulla guancia sinistra, proprio come aveva fatto Giuda al quale, scherzosamente, si era paragonato quel pomeriggio. Gli sembrò, anzi, di avvertire sotto le labbra addirittura il contatto scabro di quella guancia e si meravigliò di una suggestione così potente. Quindi levò di nuovo gli occhi allo specchio : la testa di Orlando era sempre là, sospesa nel vuoto, gli sguardi fissi su di loro. Finalmente sedettero tutti e quattro, lui e Quadri sulle seggiole e le due donne di fronte a loro, sul divano. Venne il cantiniere con la lista e Quadri cominciò con l’ordinare, assai minuziosamente, i vini. Egli sembrava del tutto assorbito da questa ordinazione e discusse a lungo col cantiniere sulla qualità di quei vini che pareva conoscere molto bene. Finalmente ordinò un vino bianco, secco per il pesce, un vino rosso per l’arrosto e dello champagne in ghiaccio. Al cantiniere subentrò il cameriere col quale si ripetè la stessa scena: discussioni competenti sulle vivande, esitazioni, riflessioni, domande, risposte e finale ordinazione di tre piatti, uno di antipasti, uno di pesce e uno di carne. Intanto Lina e Giulia discorrevano sottovoce, e Marcello, gli occhi fissi su Lina, era caduto in una specie di trasognatezza. Gli pareva di udire ancora i colpi smaniosi del pendolo risuonare dietro di lui mentre stringeva la mano a Quadri, gli pareva di rivedere la testa decapitata di Orlando che lo guardava dallo specchio e capiva che mai come in quel momento si era trovato di fronte al suo destino, come se fosse stato una pietra ritta nel mezzo di un crocicchio, ai due lati della quale defluivano due strade diverse ed egualmente definitive. Trasalì udendo Quadri domandargli, col solito tono indifferente : « Girato per Parigi ? » «Sì, un poco». « Piaciuto? » « Molto ». « Sì, è un’amabile città», disse Quadri come parlando per conto suo e quasi facendo una concessione a Marcello, « ma vorrei che lei fermasse la sua attenzione su questo punto al quale l’ho già richiamato oggi : che non è la città viziosa e piena di corruzione di cui parlano i giornali in Italia... lei ha quest’idea sicuramente e quest’idea invece non risponde alla realtà ». « Io non ho questa idea », disse Marcello un po’ sorpreso. « Mi stupirebbe che non l’avesse », disse il professore senza guardarlo, « tutti i giovani della sua generazione hanno delle idee di questo genere... pensano che non si è forti se non si è austeri e per sentirsi austeri si fabbricano delle teste di turco che non esistono ». « Non mi pare di essere particolarmente austero », disse seccamente Marcello. « Sono sicuro che lo è, ora glielo dimostrerò », disse il professore. Aspettò che il cameriere avesse disposto i piatti con gli antipasti e poi riprese : « Vediamo... scommetto che mentre io ordinavo i vini, lei si meravigliava dentro di sé che io potessi apprezzare simili cose... non è così? » Come aveva fatto a capirlo? Marcello ammise di malavoglia : « Può darsi che lei abbia ragione... ma non c’è niente di male... l’ho pensato perché lei ha un aspetto proprio, secondo la sua parola, austero ». « Mai come il suo, caro figliolo, mai come il suo », ripetè il professore piacevolmente, « e poi, continuiamo... dica la verità: lei non ama il vino e non se ne intende». « No, a dire il vero non bevo quasi mai », disse Marcello, « ma che importanza ha? » « Molta », disse Quadri tranquillamente. « Moltissima importanza... e parimenti scommetto che lei non apprezza la buona tavola ». « Mangio... », incominciò Marcello. « Tanto per mangiare », fini il professore con accento di trionfo, « come si voleva dimostrare... finalmente lei ha di sicuro una prevenzione contro l’amore... se, per esempio, in un parco, lei vede una coppia che si bacia, il suo primo impulso sarà di condanna e di disgusto e con molta probabilità ne inferirà che la città in cui si trova il parco è una città svergognata... non è cosi? » Marcello capiva adesso dove voleva andare a parare Quadri. Disse con sforzo: «Non inferisco nulla... è vero soltanto che probabilmente non sono nato con il gusto per queste cose ». « Non soltanto, ma per lei coloro che ce l’hanno, sono colpevoli e dunque spregevoli... confessi la verità ». « Questo no, sono diversi da me, ecco tutto ». « Chi non è con noi è contro di noi », disse il professore facendo una brusca sortita nella politica, « questo è uno dei motti che volentieri si ripetono in Italia e altrove, oggigiorno, non è cosi? » Aveva, intanto, cominciato a mangiare e cosi di gusto che gli occhiali gli erano andati fuori posto dagli occhi. « Non mi pare », disse seccamente Marcello, « che la politica entri in queste faccende». « Edmondo », disse Lina. « Cara ». « Mi avevi promesso che non avremmo parlato di politica ». « Ma infatti non parliamo di politica », disse Quadri, « parliamo di Parigi... e concludendo, siccome Parigi è una città in cui la gente ama bere, mangiare, ballare, baciarsi nei parchi e, insomma, divertirsi... sono sicuro che il suo giudizio su Parigi non può essere che sfavorevole». Questa volta Marcello non disse nulla. Giulia rispose per lui, sorridendo : « A me la gente di Parigi, invece, mi piace tanto... è così allegra». « Ben detto », approvò il professore, « lei signora dovrebbe curare suo marito ». «Ma non è malato». « Si è malato di austerità », disse il professore, la testa china sul piatto. E soggiunse quasi tra i denti: «O meglio l’austerità non è che un sintomo». Adesso appariva evidente a Marcello che il professore, il quale, secondo quanto gli aveva detto Lina, sapeva tutto di lui, si divertiva a giocare con lui un po’ come il gatto con il topo. Non potè tuttavia fare a meno di pensare che questo fosse un gioco molto innocente in confronto al proprio, cosi tetro, cominciato quel pomeriggio in casa di Quadri e destinato a finire sanguinosamente nella villa in Savoia. Domandò a Lina, quasi con una malinconica civetteria: «Ma davvero sembro cosi austero... anche a lei? » La vide considerarlo con uno sguardo freddo e riluttante in cui indovinò con dolore l’avversione profonda che ella nutriva per lui. Poi, evidentemente, Lina dovette rifarsi alla parte di donna innamorata che aveva deciso di recitare, perché rispose sorridendo con sforzo: «Non la conosco abbastanza... certo dà l’impressione di essere molto serio». « Ah, questo si... », disse Giulia guardando con affetto al marito. « Pensi che io l’avrò visto sorridere si e no una dozzina di volte... serio è la parola ». Lina lo guardava adesso fissamente, con un’attenzione cattiva: « No », ella disse poi lentamente, « no, mi sono sbagliata... serio non è la parola... bisognerebbe dire preoccupato». «Preoccupato di che?» Marcello la vide stringersi nelle spalle, con indifferenza. «Questo, poi, non lo so proprio». Ma nello stesso tempo, con profonda sorpresa, senti sotto la tavola, il piede di lei che lentamente e con intenzione prima sfiorava il suo e poi lo premeva. Quadri disse con bontà: «Clerici, non si preoccupi troppo di sembrare preoccupato... sono tutti discorsi per passare il tempo... lei è in viaggio di nozze... soltanto questo deve preoccuparla... non è vero signora? » Sorrise a Giulia, con quel suo sorriso che pareva la smorfia di una mutilazione; e Giulia sorrise a sua volta dicendo allegramente : « Forse è proprio questo che lo preoccupa, non è cosi, Marcello ? » Adesso il piede di Lina continuava a premere il suo, ed egli provava, a questo contatto, quasi un senso di sdoppiamento come se dai rapporti d’amore l’ambiguità si fosse trasferita in tutta la sua vita e invece di una situazione ce ne fossero due: la prima in cui egli indicava Quadri a Orlando e tornava in Italia con Giulia, la seconda in cui salvava Quadri, abbandonava Giulia, restava a Parigi con Lina. Le due situazioni, come due fotografie sovrapposte, si intersecavano e si confondevano coi varii colori dei suoi sentimenti di rimpianto e di orrore, di speranza e di malinconia, di rassegnazione e di rivolta. Sapeva benissimo che Lina gli premeva il piede soltanto per ingannarlo e restar fedele alla sua parte di donna innamorata e, tuttavia, quasi per assurdo, sperava che questo non fosse vero e che ella lo amasse sul serio. Intanto si domandava perché mai ella avesse scelto tra i tanti proprio questo gesto di complicità sentimentale cosi tradizionale e cosi grossolano e una volta di più gli parve di ritrovare in questa scelta il consueto disprezzo per lui, come per qualcuno che non richiedesse troppa sottigliezza e invenzione per essere ingannato. Lina diceva, intanto, pur premendogli il piede e guardandolo fissamente e con intenzione : « E, a proposito del vostro viaggio di nozze... ne ho già parlato a Giulia ma siccome so che Giulia non avrà il coraggio di parlarne a lei, mi permetto di fare io la proposta... perché non verreste a finirlo in Savoia?... Da noi?... Noi ci saremo per tutta l'estate... abbiamo una bella camera per gli ospiti... resterete una settimana, dieci giorni, finché vorrete... e poi di là tornerete direttamente in Italia ». Cosi, si disse Marcello quasi con disappunto, questo era il motivo di quella pressione del piede. Pensò di nuovo, ma questa volta con dispetto, che l’invito in Savoia coincideva troppo bene con il piano di Orlando: accettando l’invito, essi avrebbero trattenuto Lina a Parigi e intanto Orlando avrebbe avuto tutto il tempo di sbrigarsi con Quadri laggiù, in montagna. Disse lentamente: «Per conto mio non ho nulla in contrario ad una gita in Savoia... ma non prima di una settimana... dopo che abbiamo visto Parigi». « Perfetto », disse subito Lina trionfante, « cosi verrete giù con me... mio marito mi precede domani... anche io debbo restare ancora una settimana a Parigi». Marcello sentì che il piede della donna non premeva più il suo. Cessata la necessità che l’aveva ispirata, cessava anche la lusinga; e Lina non aveva neppure voluto ringraziarlo con lo sguardo. Da Lina i suoi occhi passarono alla moglie e vide che pareva scontenta. Poi ella disse : « Mi dispiace di non andare d’accordo con mio marito... e mi dispiace anche di sembrare scortese verso di lei, signora Quadri... ma è impossibile che noi andiamo in Savoia ». « Perché ? » non potè fare a meno di esclamare Marcello. « Dopo Parigi... ». « Dopo Parigi, lo sai, dobbiamo andare sulla Costa Azzurra, a trovare quei nostri amici». Era una bugia, non avevano amici sulla Costa Azzurra. Marcello capì che Giulia mentiva per disfarsi di Lina e al tempo stesso dimostrargli la propria indifferenza per la donna. Ma c’era il pericolo che, disgustata dal rifiuto di Giulia, Lina partisse con Quadri. Bisognava, dunque, correre ai ripari, fare accettare senz’altro l’invito alla moglie recalcitrante. Disse in fretta: «Oh quelli, possiamo anche rinunziarci... avremo sempre tempo di vederli ». « La Costa Azzurra... che orrore », esclamava intanto Lina, contenta dell’aiuto di Marcello, allegramente, impetuosamente, con voce cantante: «chi va nella Costa azzurra... i rastà sudamericani, le cocotte! ». « Sì, ma abbiamo un impegno », disse Giulia con ostinazione. |
Alberto Moravia Il conformista |
Italiano Il conformista 313
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L’utile e il dilettevole / 2