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Il conformista 185
Alberto Moravia - Il conformista PARTE SECONDA / CAPITOLO PRIMO (cont.) |
Marcello ricordò che non aveva mai avuto simpatia per quest’avvocato
Fenizio che gli era accaduto di incontrare molto spesso in casa di
Giulia: un uomo piccolo, biondiccio, calvo, con gli occhiali d’oro, il
naso a punta che si raggrinziva quando rideva, la bocca senza labbra. Un
uomo, come ricordò pure, molto calmo e freddo ma, pur dentro la sua
calma e freddezza, aggressivo e petulante in una sua maniera spiacevole.
E robusto: per il caldo un giorno si era tolto la giubba e aveva
rimboccato le maniche della camicia mostrando le braccia bianche e
grosse, gonfie di muscoli. « Ma che ci trovavi in lui ? » non potè fare
a meno di esclamare. « È lui che ha trovato qualche cosa in me... e molto presto... sono stata sua amante non un mese o un anno, ma sei anni». Marcello fece un rapido calcolo mentale: Giulia aveva adesso ventun anni o poco piu, dunque... Stupito, ripetè: «Sei anni». « Si, sei anni... ne avevo quindici quando... mi capisci? » Giulia, come osservò, sebbene parlasse di cose che secondo ogni apparenza tuttora l’addoloravano, conservava il solito tono strascicato e bonario dei suoi più indifferenti pettegolezzi. « Lui si approfittò di me si può dire il giorno stesso che il povero papà mori... se non sarà stato il giorno stesso, sarà stata la settimana... del resto posso anche dirtela la data precisa: appena otto giorni dopo il funerale di mio padre... di cui, nota bene, lui era amico intimo e uomo di fiducia... ». Ella tacque un momento, come per sottolineare col silenzio l’empietà dell’uomo; quindi proseguì : « La mamma non faceva che piangere e naturalmente andava molto in chiesa... lui venne una sera che ero sola in casa, la mamma era uscita e la donna era in cucina... io stavo in camera mia seduta al tavolino, intenta a scrivere il compito di scuola... frequentavo la quinta ginnasiale e mi preparavo per la licenza... lui entrò in punta di piedi, mi venne alle spalle, si chinò sul compito e mi domandò che cosa facessi... io glielo dissi, senza voltarmi... non avevo alcun sospetto, prima di tutto perché ero innocente, e questo puoi crederlo, come una bambina di due anni, e poi perché lui per me era quasi un parente... lo chiamavo zio, figurati... dunque gli dissi che stavo preparando il tema di latino e lui, sai che fece? Mi prese per i capelli, con una mano sola, ma forte... lo faceva spesso, per gioco, perché avevo capelli magnifici, lunghi e ondulati, e lui diceva che gli tentavano le dita... sentendolo tirare, credetti anche questa volta ad uno scherzo e gli dissi: “Lasciami, mi fai male... ”, ma lui, invece di lasciarmi, mi costrinse ad alzarmi in piedi e, sempre tenendomi a braccio teso, mi guidò verso il letto che stava, come adesso, nell’angolo presso la porta... io, pensa, da tanto ero innocente, ancora non capivo... e gli dissi, ricordo : “ lasciami... debbo fare il compito” ...in quel momento lui mi lasciò i capelli... ma no, non posso dirtelo... ». Marcello stava per chiederle di continuare, pensando che si vergognasse; ma Giulia che si era fermata soltanto per graduare gli effetti, riprese : « Sebbene non avessi ancora quindici anni, io ero già molto sviluppata, come una donna... beh, non volevo dirtelo perché soltanto a parlarne mi fa ancora male... mi lasciò i capelli e mi afferrò al petto, ma cosi forte che non mi riusci neppure di gridare e quasi svenni... forse svenni davvero... poi, dopo quella stretta, non so cosa sia successo: ero distesa sul letto e lui mi stava addosso e io avevo capito tutto, e mi era andata via tutta la forza ed ero come un oggetto tra le sue mani, passiva, inerte, senza volontà... cosi lui fece di me quello che volle... più tardi piangevo e lui, allora, per consolarmi mi disse che mi amava, che era pazzo di me, sai le solite cose... ma disse pure, per il caso che non mi fossi lasciata convincere, che non ne parlassi alla mamma se non volevo che lui ci rovinasse... pare che papà da ultimo avesse fatto degli affari sbagliati e che la nostra vita materiale dipendesse ormai da lui... dopo quel giorno tornò altre volte... ma senza regola... sempre quando non me l’aspettavo... entrava in camera mia in punta di piedi, si chinava su di me, mi domandava con voce severa: “Hai fatto i compiti? No?... Allora vieni a farli con me...” e poi, al solito, mi prendeva per i capelli e mi conduceva a braccio teso fino al letto... ti dico, aveva proprio la passione di prendermi per i capelli », ella rise, al ricordo di questa abitudine dell’antico amante, quasi cordialmente, come si ride di un tratto caratteristico e amabile; «cosi andammo avanti quasi un anno... lui continuava a giurarmi che mi amava e che se non avesse avuto moglie e figli, mi avrebbe sposata... e non dico che non fosse sincero... ma se mi voleva veramente bene come diceva, c’era una sola maniera di dimostrarmelo: lasciarmi stare... basta, dopo un anno, disperata, feci un tentativo per liberarmi: gli dissi che non l'amavo e che non l’avrei mai amato, che non potevo andare avanti a quel modo, che non combinavo più niente e mi struggevo e non avevo passato la licenza e, se lui non mi lasciava, avrei dovuto abbandonare gli studi... e lui allora, figurati, andò a dire alla mamma che avendo capito il mio carattere, si era convinto che non ero tagliata per gli studi e che, siccome avevo ormai sedici anni, mi conveniva piuttosto lavorare... per cominciare mi offriva un posto di segretaria nel suo ufficio... hai capito?... naturalmente io resistetti più che potei ma la mamma, poveretta, mi disse che ero un’ingrata, che lui ci aveva fatto e continuava a farci tanto bene, che non dovevo lasciarmi sfuggire un’occasione come quella, e alla fine, fui costretta ad accettare... una volta nello studio, tutto il giorno con lui, come puoi immaginare, non c’era neanche da pensarci di smettere... e cosi ricominciai e alla fine lui mi fece prendere l’abitudine e rinunziai a ribellarmi... sai come succede: mi pareva che per me non ci fosse più speranza, ero diventata fatalista... ma quando, un anno fa, tu mi dicesti che mi volevi bene, andai dritta da lui e gli dissi che questa volta era proprio finita... lui che è anche vile, protestò, minacciando di andare da te e raccontarti ogni cosa... allora io sai che feci? Presi un tagliacarte aguzzo che aveva sulla scrivania e gli misi la punta alla gola dicendo: “Se lo fai, ti ammazzo...”; e poi gli dissi ancora: “Lui saprà della nostra relazione... come è giusto... ma sarò io a dirglielo, non tu... tu da oggi per me non esisti più... e se soltanto provi a metterti tra me e lui io ti ammazzo... vado in galera ma ti ammazzo” ...lo dissi con un certo tono che lui capi che parlavo sul serio... e da allora non fiatò più... salvo poi a vendicarsi scrivendo quella lettera anonima dove si parla di tuo padre... ». « Ah era stato lui », non potè fare a meno di esclamare Marcello. « Si capisce... riconobbi subito la carta e la macchina da scrivere ». Ella tacque un momento, quindi, con subita ansietà, prendendo la mano a Marcello, soggiunse : « Ora ti ho raccontato tutto e mi sembra di star meglio... ma forse non avrei dovuto dirtelo, forse tu adesso non potrai più soffrirmi e mi odierai ». Marcello non rispose e per lungo tempo rimase silenzioso. Il racconto di Giulia non aveva destato nel suo animo né odio contro l’uomo che aveva abusato di lei né pietà di lei che aveva subito l’abuso. La stessa maniera apatica e ragionevole, pur nell’espressione della ripugnanza e dello sdegno, con la quale ella aveva fatto il racconto, escludeva sentimenti cosi decisi come l’odio e la pietà. Cosi che lui stesso, come per contagio, si sentiva inclinato ad una considerazione non dissimile, mescolata di indulgenza e di rassegnazione. Semmai provava un senso di stupore tutto fisico, disgiunto da qualsiasi giudizio, come di una caduta in un vuoto imprevisto. E di rimbalzo, un rincrudimento della malinconia, di fronte a questa conferma inaspettata di una regola di decadenza cui, per un momento, aveva sperato che Giulia potesse fare eccezione. Ma, stranamente, non risultava intaccata la sua convinzione del carattere profondamente normale della persona di Giulia. La normalità, come capi ad un tratto, non consisteva tanto nel tenersi lontani da certe esperienze, quanto nel modo di valutarle. Il caso aveva voluto che cosi lui come Giulia avessero qualche cosa da nascondere nelle loro vite e, di conseguenza, da confessare. Ma mentre lui si sentiva del tutto incapace di parlare di Lino, Giulia, invece, non aveva esitato a rivelargli i suoi rapporti con l’avvocato, scegliendo, per far questo, il momento più adatto, secondo le sue idee, ossia quello del loro matrimonio che, nel suo concetto, doveva abolire il passato e dischiuderle un modo di vita del tutto nuovo. Questo pensiero gli fece piacere perché, malgrado tutto, confermava la normalità di Giulia, consistente appunto nella capacità di riscattarsi coi mezzi soliti e cosi antichi della religione e degli affetti. Distratto da queste riflessioni, volgeva gli occhi al finestrino e non si accorgeva che il suo silenzio spaventava la moglie. Poi senti che ella cercava di abbracciarlo e udì la voce di lei che gli domandava : «Non parli? Dunque è vero... ti faccio schifo... di’ la verità: non puoi più soffrirmi e ti faccio schifo». Marcello avrebbe voluto rassicurarla; e fece un movimento per voltarsi e renderle l’abbraccio. Ma un sussulto del treno sviò il gesto, cosi che, senza volerlo, egli la colpi con il gomito in viso. Giulia interpretò questa involontaria percossa come un gesto di ripulsa e si levò subito in piedi. Il treno in quel momento aveva imboccato una galleria, con un lungo fischio lamentoso e un ispessimento delle tenebre ai vetri dei finestrini. Nel fragore raddoppiato dall’eco delle volte, gli parve di udire come un lamento di pianto partire da Giulia mentre, le braccia tese in avanti, barcollando e incespicando, si dirigeva verso la porta dello scompartimento. Sorpreso, senza alzarsi, la chiamò: «Giulia». La vide, per tutta risposta, sempre in quella maniera barcollante e dolorosa, aprire la porta e scomparire nel corridoio. Per un momento rimase fermo, quindi, improvvisamente allarmato, si alzò e usci anche lui. Lo scompartimento si trovava a metà del vagone, subito vide la moglie che si dirigeva in fretta, per il corridoio deserto, verso l’estremità dove era lo sportello di uscita. Gli tornò in mente, vedendola fuggire sul grosso tappeto soffice, tra le pareti di mogano, la frase che ella aveva detto al vecchio amante: « Se parli, ti ammazzo »; e pensò che aveva forse sinora ignorato un aspetto del suo carattere scambiando la sua bonomia per ignavia. Nello stesso momento la vide chinarsi, armeggiare con le maniglie dello sportello. Di un balzo la raggiunse e la prese per le braccia costringendola a rialzarsi. « Ma che fai Giulia ? » domandò con voce bassa, pur tra il fragore del treno. «Che hai creduto? È stato il treno... volevo voltarmi e invece ti ho fatto male ». Ella si era irrigidita tra le sue braccia, come disponendosi a dibattersi. Ma alla sua voce cosi tranquilla e sinceramente sorpresa, parve subito calmarsi. Disse, dopo un momento, chinando il capo: « Scusami, forse mi sono sbagliata, ma ho avuto l’impressione che tu mi odiassi e allora mi è venuto il desiderio di farla finita... non era un gesto, se tu non fossi arrivato l’avrei fatto davvero». « Ma perché... che ti è venuto in mente? » La vide scrollare le spalle : « Cosi, per non fare altre fatiche... per me sposarmi è stato molto più importante di quanto non credi... quando mi è sembrato di capire che non potevi più soffrirmi, ho pensato: non ce la faccio più... ». Ella scrollò di nuovo le spalle e soggiunse, levando finalmente il viso verso di lui e sorridendogli : « Pensa, saresti rimasto vedovo appena sposato». Marcello la guardò un momento senza parlare. Evidentemente, come pensò, Giulia era sincera: ella aveva veramente dato al matrimonio molta più importanza di quanto egli non potesse immaginare. Allora, con un senso di stupore, capi che la frase dimessa indicava una partecipazione completa al rito nuziale il quale per Giulia, a differenza di lui, era stato davvero quel che doveva essere, né più né meno. Cosi non era sorprendente che, dopo una dedizione tanto passionale, alla prima delusione, ella avesse pensato di uccidersi. Egli si disse che era quasi un ricatto questo di Giulia: o tu mi perdoni o io mi uccido; e una volta di più provò sollievo trovandola cosi simile a come l’aveva desiderata. Giulia si era voltata di nuovo e sembrava guardare, adesso, al finestrino. Egli le cinse la vita e le mormorò all’orecchio : « Lo sai che ti amo». Subito ella si voltò e lo baciò, con una passione cosi impetuosa che Marcello quasi si spaventò. A quel modo, pensò, certe devote baciavano nelle chiese i piedi delle statue, le croci, le reliquie. Intanto il fragore della galleria si spegneva nel solito battito veloce delle ruote che correvano all’aria libera; ed essi si separarono. Poi restarono l’uno accanto all’altro, davanti il finestrino, la mano nella mano, contemplando l’oscurità della notte. « Guarda », disse finalmente Giulia con voce normale, « guarda laggiù... che sarà? Un incendio? » Effettivamente, un fuoco, simile ad un fiore rosso, brillava adesso nel mezzo del vetro buio. Marcello disse : « Chissà » e abbassò il finestrino. Scomparve dalla notte la lucentezza specchiante del vetro, il vento freddo della corsa gli soffiò in viso, ma il fiore rosso rimase, non si capiva bene se lontano o vicino, se alto o basso, sospeso misteriosamente nelle tenebre. Allora, dopo aver guardato a lungo quei quattro o cinque petali di fuoco che sembravano muoversi e palpitare, egli rivolse gli occhi verso la scarpata della strada ferrata sulla quale, insieme con la sua ombra e quella di Giulia, scorrevano le deboli luci del treno e provò improvvisamente una sensazione di acuto smarrimento. Perché era in quel treno? E chi era la donna che stava al suo fianco ? E dove andava ? E chi era lui stesso? E donde veniva? Non soffriva di questo smarrimento, al contrario gli piaceva come un sentimento che gli era familiare e costituiva, forse, il fondo stesso dell’essere suo più intimo. « Ecco », pensò freddamente, « io sono come quel fuoco, laggiù nella notte... divamperò e mi spegnerò senza ragione, senza seguito... un po’ di distruzione sospesa nel buio». Trasalì alla voce di Giulia che l’avvertiva: «Guarda, debbono aver già preparato i letti » ; e capì che per lei, mentre lui si perdeva nella contemplazione di quel fuoco lontano, la questione era pur sempre il loro amore; o meglio, più precisamente, l’unione prossima dei loro due corpi : ciò, insomma, che stava facendo in quel momento e nient’altro. Ella si era già avviata, non senza una specie di contenuta impazienza, verso lo scompartimento; e Marcello la seguì a qualche distanza. Indugiò sulla soglia per lasciarne uscire il controllore, quindi entrò a sua volta. Giulia, in piedi davanti allo specchio, noncurante della porta ancora aperta, si toglieva la camicetta sbottonandola dal basso in alto. Gli disse senza voltarsi: «Tu prendi la cuccetta di sopra... io mi metterò in quella di sotto ». Marcello chiuse la porta, si arrampicò sulla cuccetta e cominciò subito a spogliarsi, mettendo via via i panni sulle reti. Nudo, sedette sulle coperte, le ginocchia tra le braccia, aspettando. Udì Giulia muoversi, un bicchiere tintinnare nel sostegno di metallo, una scarpa cadere sul tappeto del pavimento, altri rumori. Poi, con uno scatto secco, le lampade piò forti si spensero, subentrando il chiarore violetto della veglia; e la voce di Giulia disse: « Vuoi venire? » Marcello sporse le gambe in fuori, si girò, posò un piede sulla cuccetta di sotto, piegandosi da parte per entrarvi. In questo gesto vide Giulia ignuda, supina, un braccio sugli occhi, le gambe stese e divaricate. Nella luce bassa e falsa, il corpo appariva di una fredda bianchezza madreperlacea, macchiato di nero all'inguine e alle ascelle, di rosa scuro sul petto; e si sarebbe detto esanime, oltre che per questa pallidezza mortuaria, anche per la perfetta, abbandonata immobilità. Ma come Marcello le fu sopra, ella si riscosse tutto ad un tratto, con un sussulto violento di tagliola che scatti e si chiuda, e l’attirò a sé gettandogli le braccia al collo, aprendo le gambe e riunendogli i piedi sulla schiena. Più tardi lo respinse con durezza, e si rannicchiò contro la parete, tutta raccolta sopra se stessa, la fronte contro le ginocchia. E Marcello, giacendole allato, comprese che ciò che ella gli aveva sottratto con tanta furia e poi aveva chiuso e serbato con tanta gelosia nel proprio ventre, non gli apparteneva più, e sarebbe cresciuto in lei. E questo, come pensò, egli l’aveva fatto per potersi dire, almeno una volta : « Sono stato un uomo simile a tutti gli altri uomini... ho amato, mi sono congiunto ad una donna e ho generato un altro uomo ». |
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L’utile e il dilettevole / 2