II.
Il pranzo era stato eccellente; non per nulla il signor Giordano preferiva la
campana del desinare alle leggende del Castello. Verso le undici alla villa si
pestava sul piano, si saltava nel salotto e si giuocava a carte nelle altre
stanze. La signora Matilde era andata a prendere una boccata d’aria in giardino,
e s’era dimenticata di una polca che aveva promessa al signor Luciano, il quale
la cercava da mezz’ora.
— Alfine! le disse scorgendola. — E la nostra polca?
— Ci tiene proprio?
— Molto.
— Se la lasciassimo lì?
— Povera polca!
— Francamente, sa.... Ella racconta così bene certe storie, che non l’avrei
creduto un ballerino cotanto arrabbiato....
— Ci crede dunque alle storie?
— Ma secondo il quarto d’ora.
Il silenzio era profondo; il vento cacciava le nuvole rapidamente, e di tanto in
tanto faceva stormire gli alberi del giardino; il cielo era inargentato a
strappi; le ombre sembravano inseguirsi sulla terra illuminata dalla luna, e il
mormorio del mare e quel sussurrio delle foglie, sommesso, ad intervalli, a
quell’ora aveano un non so che di misterioso. La signora Matilde volse gli occhi
qua e là, in aria distratta, e li posò sulla mole nera e gigantesca del castello
che disegnavasi con profili fantastici su quel fondo cangiante ad ogni momento.
La luce e le ombre si alternavano rapidamente sulle rovine, e un arbusto che
avea messo radici sul più alto rivellino, agitavasi di tanto in tanto, come un
grottesco fantasma che s’inchinasse verso l’abisso.
— Vede? diss’ella con quel sorriso incerto e colla voce mal ferma. C’è qualche
cosa che vive e si agita lassù!
— Gli spettri della leggenda.
— Chissà!
— Cotesto è il quarto d’ora delle storie....
— Oppure....
— Oppure cosa?
— Chissà.... Cosa fa mio marito?
— Giuoca a tresette.
— E la signora Olani?
— Sta a guardare.
— Ah!...
— Mi racconti la sua storia.... riprese da lì a poco, con singolare vivacità —
se non le rincresce per la sua polca.
La storia che Luciano raccontò era strana davvero!
La seconda moglie del barone d’Arvelo era una Monforte, nobile come il re e
povera come Giobbe, forte come un uomo d’arme e tagliata in modo da rispondere
per le rime alla galanteria un po’ manesca di don Garzia, e da promettergli una
nidiata di d’Arvelo, numerosi come le uova che avrebbe potuto covare la chioccia
più massaia di Trezza. Prima delle nozze, le avevano detto degli spiriti che si
sentivano nel Castello, e che la notte era un gran tramestìo pei corridoi e per
le sale, e si trovavano usci aperti e finestre spalancate, senza sapere come nè
da chi — usci e finestre ch’erano stati ben chiusi il giorno innanzi — che si
udivano gemiti dell’altro mondo, e scrosci di risa da far venire la pelle d’oca
al più ardito scampaforche che avesse tenuto alabarda e vestito arnese. Donna
Isabella avea risposto che, fra lei e un marito come, al vedere, prometteva
esserlo don Garzia, ella non avrebbe avuto paura di tutte le streghe di Spagna e
di Sicilia, nè di tutti i diavoli dell’inferno. Ed era donna da tener parola.
La prima volta che si svegliò nel letto dove avea dormito l’ultima notte la
povera donna Violante, mentre Grazia, la cameriera della prima moglie del
barone, le recava il cioccolatte e apriva le finestre, ancora mezzo
addormentata, domandò svogliatamente:
— E così, come va che gli spiriti non hanno ballato il trescone di benvenuto
alla nuova castellana?
— Non s’è sentito stanotte?... rispose la povera Grazia, che anche a parlare ne
avea una gran paura.
— Sì, ho udito il russare di don Garzia; e ti so dire che russa come dieci
guardie vallone.
— Vuol dire che il cappellano ha benedetto la camera meglio delle altre volte.
— Ah! sarà così, oppure che faccio paura al diavolo e agli spiriti.
— O che sarà per domani.
— Eh! hanno dunque il loro cerimoniale, messeri gli spiriti, come nostro signore
il re? Racconta dunque!
— Io non so nulla, madonna.
— Chi sa dunque questa storia?
— Mamma Lucia, Brigida, Maso il cuoco, Anselmo ed il Rosso, i due valletti di
messere il barone, e messer Bruno, il capocaccia.
— E cosa hanno visto costoro?
— Nulla.
— Nulla! Cosa hanno udito dunque?
— Hanno udito ogni sorta di cose, che Dio ce ne liberi!
— E da quando si sono udite di queste cose che Dio ce ne liberi?
— Dacchè è morta la povera donna Violante, la prima moglie di messere.
— Qui?
— Proprio qui, in questo lato del castello; ma dalla cima dei merli sino in
fondo alle cucine, di cui le finestre danno sulla corte.
La baronessa si mise a ridere, e la sera narrò al marito quel che le era stato
detto. Don Garzia, invece di riderne anch’esso, montò in una tal collera che mai
la maggiore, e incominciò a bestemmiar Dio e i santi come donna Isabella non
avea visto nè udito fare dagli staffieri più staffieri che fossero a casa de’
suoi fratelli, e a minacciare che se avesse saputo chi si permetteva di spargere
cotali fandonie, l’avrebbe fatto saltare dal più alto rivellino del castello. La
baronessa fu estremamente sorpresa che quel pezzo di uomo, il quale non doveva
aver paura nemmen del diavolo, avesse dato tanto peso a delle sciocche
storielle, e in cuor suo ne fu contenta, chè si sentiva più degna del marito di
portare i calzoni, e di far la castellana come andava fatto.
— Dormite in santa pace, madonna, le disse don Garzia, chè qui, nel castello e
fuori, pel giro di dieci leghe, sin dove arriva il mio buon diritto e la mia
buona spada, non c’è a temere altro che la mia collera.
Però la baronessa, sia che le parole del marito l’avessero colpita, sia che
delle sciocchezze udite le fosse rimasta qualcosa in mente, si svegliò di
soprassalto verso la mezzanotte, credendo d’avere udito, o d’aver sognato, un
rumore indistinto, non molto lontano, proprio dietro la parete dell’alcova.
Stette in ascolto con un po’ di batticuore; ma non s’udiva più nulla, la lampada
notturna ardeva ancora, e il barone russava della meglio. Ella non ardì
svegliarlo, ma non potè ripigliar sonno. Il giorno dopo la sua donna la trovò
pallida e accigliata, e mentre la pettinava dinanzi allo specchio, la baronessa,
coi piedi sugli alari e bene avvolta nella sua veste da camera di broccato, le
domandò, dopo avere esitato alquanto:
— Orsù, dimmi tutto quel che sai degli spiriti del castello.
— Io non so altro che quel che ne ho udito raccontare dal Rosso e da Brigida.
Volete che vi chiami Brigida?
— No! rispose con vivacità donna Isabella. Anzi non dire ad anima viva che io te
n’abbia parlato.... Raccontami quel che t’hanno detto Brigida e il Rosso.
— Brigida, quando dormiva nella stanzuccia accanto al corridoio qui vicino,
udiva tutte le notti, poco prima o poco dopo dei dodici colpi della campana
grossa, aprire la finestra che dà sul ballatoio, e la porta del corridoio. La
prima volta che Brigida udì quel rumore fu la seconda domenica dopo Pasqua, la
ragazza avea avuto la febbre e non poteva dormire; l’indomani tutti coloro ai
quali raccontò il fatto credettero che fosse stato inganno della febbre; ma la
poverina a misura che il giorno tramontava aveva una gran paura, e cominciò a
parlare in tal modo del gran via vai della notte, che tutti credettero fosse
delirante, e mamma Lucia rimase a dormire con lei. L’indomani anche mamma Lucia
disse che in quella camera non avrebbe voluto passarci un’altra notte per tutto
l’oro del mondo. Allora anche coloro i quali s’erano mostrati più increduli
cominciarono ad informarsi e del come e del quando, e Maso raccontò quello che
non avea voluto dire per timore di farsi dar la baia dai più coraggiosi. Da più
di un mese avea udito rumore anche nel tinello, e s’era accorto che gli spiriti
facevano man bassa sulla credenza. A poco a poco raccontò pure quel che aveva
visto.
— Visto?
— Sì, madonna; sospettando che alcuno dei guatteri gli giocasse quel tiro, si
appostò nell’andito, dietro il tinello, col suo gran coltellaccio alla cintola,
e attese la mezzanotte, ora in cui solevasi udire il rumore. Quando tutt’ad un
tratto — non si udiva ronzare nemmeno una mosca — si vede comparir dinanzi un
gran fantasma bianco, il quale gli arriva addosso senza dire nè ahi nè ohi, e
gli passa rasente senza fare altro rumore di quel che possa fare un topo che va
a caccia del formaggio vecchio. Il povero cuoco non volle saperne altro, e fu a
un pelo di buscarne una bella e buona malattia.
— Ah! disse la baronessa ridendo. E cosa fece in seguito?
— Non fece nulla, fece acqua in bocca, andò a confessarsi, a comunicarsi, ed
ogni sera, prima di mettersi in letto, non mancava di recitare le sue orazioni,
e di raccomandarsi ben bene a tutte le anime del purgatorio che sogliono
gironzare la notte, in busca di requiem e di suffragi.
— Giacchè sono degli spiriti i quali rubano in tinello come dei gatti affamati o
dei guatteri ladri, se fossi stata messer Maso, invece d’infilar paternostri, mi
sarei raccomandata alla mia miglior lama, onde cercare di scoprire chi fosse il
gaglioffo che si permetteva di scambiar le parti coi fantasmi.
— Oh madonna, la stessa cosa disse il Rosso il quale è un pezzo di giovanotto
che il diavolo istesso, che è il diavolo, non gli farebbe paura; e si mise a
rider forte, e gli disse bastargli l’animo di prendere lo spirito, il fantasma,
il diavolo stesso per le corna, e fargli vomitare tutto il ben di Dio di cui
dicevasi si desse una buona satolla in cucina; mai non l’avesse fatto! La notte
seguente s’apposta anche lui nel corridoio, come avea fatto il cuoco, colla sua
brava partigiana in mano, ed aspetta un’ora, due, tre. Infine comincia a credere
che Maso si sia burlato di lui, o che il vino gli abbia fatto dire una burletta,
e comincia ad addormentarsi, così seduto sulla panca e colle spalle al muro.
Quand’ecco tutt’a un tratto, tra veglia e sonno, si vede dinanzi una figura
bianca, la quale toccava il tetto col capo, e stava ritta dinanzi a lui, senza
muoversi, senza che avesse fatto il minimo rumore nel venire, senza che si
sapesse da dove fosse venuta; un po’ di barlume veniva dalla lampada posta nella
sala delle guardie, dal vano dell’arco al disopra della parete, e il Rosso giura
d’aver visto i due occhi che il fantasma fissava su di lui, lucenti come quelli
di un gatto soriano. Il Rosso, o non fosse ancora ben sveglio, o provasse un po’
di paura per quella sùbita apparizione, senza dire nè una nè due, mise mano alla
sua partigiana e menò tal colpo da spaccare in due un toro, fosse stato di
bronzo; ma la spada gli si ruppe in mano, così come fosse stata di vetro, o
avesse urtato contro il muro; si vide un fuoco d’artifizio di faville, a guisa
dei razzi che si sparano per la festa della Madonna dell’Ognina, e il fantasma
scomparve, nè più nè meno di come fa un soffio di vento, lasciando il Rosso
atterrito, col suo troncone di spada in mano, e talmente pallido da far paura a
chi lo vide per il primo, e d’allora in poi, invece di chiamarlo il Rosso, gli
dicono il Bianco.
La baronessa rideva ancora in aria d’incredulità; ma le sue ciglia si
corrugavano di tanto in tanto, e pur tenendo gli occhi fissi nello specchio, non
avea badato nè al come Grazia la stesse pettinando, nè al come le avesse
increspato i cannoncini della sua gorgierina ricamata. O che la convinzione
della cameriera fosse talmente sincera da esser comunicativa, o che il sogno
della notte avesse fatto una potente impressione su di lei, pensava più che non
volesse alla notte che doveva passare un’altra volta in quella medesima alcova.
— E cosa si dice nel castello di coteste apparizioni? — domandò dopo un silenzio
di qualche durata.
— Madonna....
— Parla!
— Madonna... si dicono delle sciocchezze....
— Raccontamele.
— Messere il barone andrebbe su tutte le furie se lo sapesse.
— Tanto meglio! raccontamele.
— Madonna... io sono una povera fanciulla.... Sono un’ignorante.... Avrò parlato
senza sapere quel che mi dicessi... Messere il barone mi butterebbe dalla
finestra più facilmente ch’io non butti via questo pettine che non serve più.
Per carità, madonna, non vogliate espormi alla collera di messere!
— Preferiresti esporti alla mia? esclamò la baronessa aggrottando le ciglia.
— Ahimè!... Madonna!
— Orsù, spicciati; voglio saper tutto quel che si dice, ti ripeto, e bada che se
la collera del barone è pericolosa, la mia non ischerza.
— Si dice che sia l’anima della povera donna Violante, la prima moglie del
barone, rispose Grazia messa alle strette, e tutta tremante.
— Come è morta donna Violante?
— S’è buttata in mare.
— Lei?
— Proprio lei, dal ballatoio mezzo rovinato che gira dinanzi alle finestre del
corridoio grande, sugli scogli che stanno laggiù; in fondo al precipizio fu
trovato il suo velo bianco.... Era la notte del secondo giovedì dopo Pasqua.
— E perchè s’è uccisa?
— Chi lo sa? Messere dormiva tranquillamente accanto a lei, fu svegliato da un
gran grido, non se la trovò più al fianco, e prima che fosse ben sveglio vide
una figura bianca la quale fuggiva. Si udì un gran baccano pel castello, tutti
furono in piedi in men che non si dica un’"avemaria", si trovarono gli usci e le
finestre del gran corridoio spalancati, e il barone che correva sul ballatoio
come un gatto inferocito; se non era il capocaccia, il quale l’afferrò a tempo,
il barone sarebbe caduto dal parapetto rovinato, nel punto dove comincia la
scala per la torretta di guardia, di cui non rimangono altro che le testate
degli scalini. Il fantasma era scomparso giusto in quel luogo.
La baronessa s’era fatta pensierosa.
— È strano! mormorò.
— Della povera signora non rimase nè si vide altro che quel velo; nella cappella
del castello e nella chiesa del villaggio furono dette delle messe per tre
giorni, in suffragio della morta, e una gran folla assistè ginocchioni ai
funerali, chè tutti le volevano un ben dell’anima per le gran limosine che
faceva quand’era in vita; però, sebbene messere avesse dato ordine che le
esequie fossero quali si convenivano a così ricca e potente signora, e la bara,
colle armi della famiglia ricamate sulle quattro punte della coltre, stesse tre
dì e tre notti nella cappella, con più di quaranta ceri accesi continuamente, e
lo stendardo grande ai piedi dell’altare, e drappelloni e scudi intorno che mai
non si vide pompa più grande, il barone partì immediatamente, nè si vide mai più
al castello prima d’ora.
— Meno male! mormorò donna Isabella. Don Garzia non mi ha detto nulla di tutto
ciò, ma è bene ch’io lo sappia.
— Alcuni pescatori poi ch’erano andati sul mare assai prima degli altri,
raccontano d’aver visto l’anima della baronessa, tutta vestita di bianco, come
una santa che ella era, sulla porta della guardiola lassù, e passeggiare
tranquillamente su e giù per la scala rovinata, ove un gabbiano avrebbe paura ad
appollaiarsi, quasi stesse camminando su di un bel tappeto turco, e nella
miglior sala del castello.
— Ah! esclamò la baronessa; e non disse altro, si alzò e andò a mettersi alla
finestra.
Il giorno era tiepido e bello, e il sole festante che entrava dall’alta finestra
sembrava rallegrasse la tetra camera; ma donna Isabella non se ne avvedeva,
sembrava meditabonda, e voltandosi a un tratto verso la Grazia:
— Mostrami dov’è caduta donna Violante, le disse.
— Colà in quel punto dove il muro è rotto e cominciava la scala per la guardiola
della sentinella, quando vi si metteva una sentinella.
— E perchè non ci si mette più adesso? — domandò la baronessa con un singolare
interesse.
— Bisognerebbe aver le ali per arrampicarsi lassù; adesso che la scala è
rovinata il più ardito manovale non metterebbe i piedi su quel che rimane degli
scalini.
— Ah, è vero!...
E rimase contemplando lungamente la torricciuola, la quale isolata com’era
sembrava attaccarsi, paurosa dell’abisso che spalancavasi al di sotto, alla
cortina massiccia, e gli avanzi della scalinata, cadenti, smantellati, senza
parapetto, sospesi in aria a quattrocento piedi dal precipizio sembravano un
addentellato per qualche costruzione fantastica.
— Infatti, mormorò come parlando fra di sè, sarebbe impossibile; c’è da averne
il capogiro soltanto a guardare.
Si tirò indietro bruscamente, e chiuse la finestra.
Grazia, vedendo la sua beffarda padrona così accigliata, e accorgendosi che la
sua storia avea fatto tale inattesa impressione su di lei, sentiva una tale
paura come se avesse dovuto passare la notte nella camera di Rosalia.
— Ahimè! madonna, io ho detto tutto per obbedirvi e senza pensare che ci va
della mia vita se lo risapesse il barone. Abbiate pietà di me, madonna!
— Non temere, rispose donna Isabella con un singolare sorriso; coteste cose,
vere o false, non si raccontano al mio signore e marito. Ma dimmi anche quel che
si dice del motivo che abbia spinto donna Violante ad uccidersi; poichè un
motivo qualunque ci sarà stato; qualcosa si dirà, a torto o a ragione, di’.
— Giuro per le cinque piaghe di Nostro Signore e per la santa giornata di
venerdì che è oggi, che non si dice nulla, o almeno che non so nulla. Da
principio, quando si è incominciato a sentire dei gemiti nelle notti di
temporale, ed anche tutte le notti dal sabato alla domenica, e tutte le volte
che fa la luna, o che qualche disgrazia deve avvenire nel castello o nei
dintorni, si credeva che la baronessa fosse morta in peccato mortale, e perciò
la sua anima chiedesse aiuto dall’altro mondo, mentre i demoni l’attanagliavano;
ma poi Beppe, il pescatore, raccontò la visione che gli apparve sull’alto della
guardiola, e alcuni giorni dopo quel bravo vecchio di suo zio Gaspare la ebbe
confermata, e si ebbe la certezza che l’anima benedetta della baronessa era in
luogo di salvazione, e si pensò invece a quella di Corrado il paggio, poveretto!
— Come era morto il paggio? s’era ucciso anche lui?
— Non era morto, era scomparso.
— Quando?
— Due giorni prima della morte di donna Violante.
— E chi l’aveva fatto sparire?
— Chi!... — balbettò la ragazza facendosi pallida. — Ma chi può far sparire
un’anima del Signore e portarsela a casa sua, come un lupo ruba una pecora? —
Messer demonio.
— Ah! era dunque un gran peccatore cotesto messer Corrado!
— No, madonna, era il giovane più bello e gentile che sia stato al castello.
La baronessa si mise a ridere.
— Eh! mia povera Grazia, quelli sono i peccatori che messer demonio suol rapire
a cotesta maniera!... — E poi, rifacendosi pensosa, volse un lungo e profondo
sguardo su quel letto dove il gemito pauroso l’avea fatta sussultare la notte.
— Quando si odono questi gemiti dell’altro mondo? domandò.
— In quelle notti in cui il fantasma non si fa vedere.
— È strano! E dove?
— Qui, madonna, in quest’alcova e nell’andito che c’è accanto, nel corridoio che
passa vicino a questa camera, e nello spogliatolo che è dietro l’alcova.
— Insomma qui vicino?
Per tutta risposta Grazia si fece il segno della croce.
La baronessa strinse le labbra tutt’a un tratto.
— Va bene, le disse bruscamente. Ora vattene. Non temere. Non dirò nulla di quel
che mi hai detto. |